Nuove regole Ue, la moda alle strette dal design agli slogan green
Dopo il voto del Parlamento sul regolamento Ecodesign, sarà la volta della due diligence su impatto sociale e ambientale e dei parametri condivisi (e provati) da riportare sulle etichette
di Marta Casadei e Alexis Paparo
4' di lettura
Passaporto digitale, divieto di distruggere l’invenduto, etichette che non riportino slogan green bensì dati scientificamente provati sull’impatto del prodotto. Se fino a oggi quelle elencate sono state opzioni o nuovi terreni di sperimentazione per le aziende della moda, a breve potrebbero diventare obblighi di legge. Alcune di esse, infatti, rappresentano capisaldi del regolamento Espr approvato il 12 luglio dal Parlamento Ue e che, dopo la votazione da parte del Consiglio, entro la fine dell’anno dovrebbe essere pubblicato in Gazzetta Ufficiale. Altre sono incluse nella pioggia di regole con cui l’Unione Europea punta a trasformare il settore in chiave green.
La spinta dalle regole
L’Espr, infatti, è solo una delle normative che, inserite nell’ambito della “EU strategy for sustainable and circular textiles” - lanciata nel marzo 2022 dalla Commissione Ue per rendere i prodotti tessili più durevoli, riparabili, riutilizzabili e riciclabili - imprimeranno un cambiamento inevitabile al settore. Un comparto che, allargato ai cosiddetti settori collegati (occhiali, gioielli), in Italia fattura 103 miliardi di euro l’anno. Ma anche un’industria che a livello mondiale è seconda solo a quella petrolifera per impatto ambientale negativo. E che in un certo senso va messa alle strette sul piano normativo: «Il livello di trasformazione dell’attuale modello di business per raggiungere gli obiettivi sovranazionali di decarbonizzazione è enorme – spiega Matteo Capellini, expert associate partner di Bain & Co –. Ad oggi le aziende non vedono una richiesta di mercato tale da “giustificare” un cambio veloce. Quindi il ruolo del regolatore è un motore fondamentale».
Le norme in vigore
Tra le norme già approvate e in vigore spiccano la Corporate sustainability reporting directive, che da quest’anno obbliga le aziende quotate a rendere conto del proprio impatto ambientale attraverso la pubblicazione di report di sostenibilità (attualmente è in corso un confronto con le aziende su modelli standard di report), e il Regolamento sulla deforestazione (Eudr) che impatta anche sulle industrie che utilizzano derivati bovini come il cuoio e impone alle aziende una rigorosa due diligence per verificare che le materie prime impiegate non siano frutto di deforestazione.
Tre proposte chiave
Ancora allo stato embrionale di proposta, invece, ci sono la Corporate sustainability due diligence directive (Csdd) che stabilisce linee guida che le aziende devono rispettare (ma non si applicherebbe alle Pmi), e la Green claims directive che punta a scoraggiare pratiche di greenwashing, introducendo parametri condivisi, scientificamente basati, per le etichette dei prodotti, tutelando così i consumatori. Questi ultimi sono oggetto di un’altra proposta di direttiva: la Empowering consumers for the green transition, depositata il 22 marzo 2022.
Il regolamento Ecodesign
Un capitolo a parte merita il Regolamento Ecodesign (Espr), atteso ai trialogues presumibilmente dopo l’estate, che avrà un impatto importante sulle aziende del made in Italy, perché condiziona tutta la vita del prodotto: dalla progettazione allo smaltimento. L’Espr, in un certo senso, ha messo in luce la difficoltà di interpretare tutte le sfaccettature di un settore così complesso. Se l’Italia ha avuto un ruolo di primo piano per esempio nel negoziare l’esenzione di Pmi e micro imprese dal divieto di distruggere l’invenduto, anche se con determinate eccezioni (il riferimento è l’articolo 20, applicabile dopo un anno dalla data di entrata in vigore), alcune istanze presentate dalle varie associazioni tessili (tra cui Euratex, associazione europea delle imprese tessili di cui fa parte Sistema moda Italia) o Camera nazionale della moda, che rappresenta le aziende creative della fascia alta, non sono state per ora accolte.
Opportunità o zavorra
In uno scenario globale come quello in cui produce e opera la moda, il nodo chiave è se queste normative – che sul lungo termine sono un asset importante – possano nel breve periodo minare la competitività delle aziende italiane ed europee in un momento storico in cui la sostenibilità è un obiettivo ma non una prassi negli acquisti di moda.
I nodi legali
Molti capi fast fashion sono prodotti in Nord Africa e Sud Est Asiatico e venduti in Europa a pochi euro ed è sempre in questi Paesi in cui vengono prodotti capi contraffatti. Filippo Arena, partner dello studio legale Gatti Pavesi Bianchi Ludovici, rassicura sul fatto che ciò che arriva dall’estero dovrà rispettare gli stessi parametri, mentre in merito all’obbligo di passaporto digitale del prodotto, sul quale le associazioni avevano sollevato dubbi legati alle informazioni sensibili, sottolinea che sarà utile individuare un modello base, che comporterà un’analisi tecnologica e legale per essere in linea con il regolamento già al momento della sua entrata in vigore ed evitare, in tal modo, possibili conseguenze negative. E in materia di segreto aziendale, spiega che «essere trasparenti quanto alla composizione di un prodotto non si traduce nella possibilità di crearne uno identico. C’è di mezzo il know how, e quello non sarà oggetto di disclosure». Allargando il focus, la sfida è quella di dotare i player del settore - e i Paesi membri con le loro peculiarità - non solo di regole, ma anche di strumenti per realizzarle: «Il contenuto di tutte queste proposte va nella direzione giusta - commenta Arena - . Tuttavia questo tipo di normative non impatta allo stesso modo nei singoli stati membri e prevedere, ad esempio, la possibilità per le Pmi di ricevere un supporto finanziario del singolo Stato, è ovviamente connessa alla disponibilità di risorse di quest’ultimo e ciò non aiuta certo a creare un level playing field europeo».
Europa apripista
Secondo Bain il Vecchio Continente farà da apripista globale: «Questo trend rappresenta un’ottima opportunità per l’Europa, che è sede di numerosissime aziende ed un mercato di grandissimo rilievo, e che potrà beneficiare – grazie all’anticipo su cui sta preparando a questa partita – di un vantaggio competitivo.Questa spinta costituirà un incentivo anche per Stati Uniti, Cina, Giappone ed altre geografie ad accelerare da un punto di vista normativo», chiosa Capellini.
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