Nuove risorse al Pnrr per sterilizzare l’impatto della guerra
Non si può certo dire che a questo governo, nato 14 mesi fa per dare risposta a due sfide già allora ritenute epocali come la pandemia e l’avvio del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), siano mancate le difficoltà, anche successivamente
di Ignazio Angeloni
4' di lettura
Non si può certo dire che a questo governo, nato 14 mesi fa per dare risposta a due sfide già allora ritenute epocali come la pandemia e l’avvio del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), siano mancate le difficoltà, anche successivamente. A parte quelle determinate da una maggioranza eterogenea e litigiosa, è intervenuta ora una guerra che non solo sconvolge gli equilibri economici su cui la risposta a quelle sfide in parte si fondava, ma cambia il quadro geostrategico, europeo e nazionale, per molti anni a venire.
Riorganizzare la politica economica nelle condizioni incerte in cui ci troviamo non è impresa da poco. Il Documento di economia e finanza (Def) presentato qualche giorno alla stampa dal presidente del Consiglio Mario Draghi e dal ministro dell’Economia Daniele Franco prova a farlo, cercando di conciliare tre esigenze in larga parte contrastanti:
1 - Attutire l’impatto della crisi ucraina sul Paese. L’aumento dei prezzi energetici e la possibile decurtazione futura dell’energia che affluisce verso il Paese colpiscono sia l’attività economica e l’occupazione sia il potere di acquisto di salari e stipendi attraverso l’inflazione. Due canali che si alimentano a vicenda, indebolendo la ripresa e accentuando le disuguaglianze già gravi del Paese.
2 - Rendere compatibili le nuove priorità – eliminare la dipendenza energetica dalla Russia e rafforzare la difesa nazionale – con quelle che oggi appaiono già “vecchie”, ma che solo poche settimane fa erano le principali a cui puntava il Paese: riconvertire la base energetica in senso eco-sostenibile e aumentare gli investimenti pubblici, se possibile riducendo le tasse.
3 - Non perdere di vista gli equilibri della finanza pubblica, oggi e soprattutto in prospettiva. La delicatezza di tali equilibri si segnala nel fatto che già oggi, nonostante l’”ombrello” costituito dai finanziamenti europei e dagli acquisti Banca centrale europea, lo spread pagato dallo Stato sui suoi titoli ha ricominciato a salire.
Il Def non poteva affrontare tutti questi problemi. Cerca però di tenerli in considerazione, individuando una strategia “di compromesso”, che consiste nel tenere conto della mutata situazione, mantenendosi però il più possibile vicini agli obiettivi e alle priorità precedenti.
L’effetto recessivo della guerra quest’anno penalizza i conti pubblici (la crescita prevista cala dal 4,2% dell’autunno scorso al 2,9%, un dato in gran parte già acquisito dallo scorso anno), ma a essi viene in aiuto l’inflazione (il deflatore del Pil, che è la misura che conta per misurare il peso del debito, sale al 3% dall’1,6%). Per combinazione, la stima del prodotto lordo in termini monetari quest’anno resta pressoché invariata, e lo stesso accade per l’anno successivo. Al tempo stesso, la buona prestazione dell’economia lo scorso anno, con una crescita ampiamente superiore al previsto, ha generato un flusso di entrate fiscali che consente all’esecutivo un pur limitato spazio di manovra.
Il governo si propone di utilizzare quello spazio per gli interventi più urgenti, tenendo fermi gli obiettivi di rientro del debito pubblico ed evitando, per il momento, un nuovo «scostamento di bilancio» (eufemismo di recente conio con cui si definisce la decisione di aumentare deficit e debito). Secondo le stime attuali, il debito in rapporto al Pil calerà quest’anno di circa 4 punti percentuali e il prossimo anno di altri 2, cifre pressoché identiche a quelle preventivate nella Nadef di ottobre.
Come il governo riconosce, la tenuta di questo quadro è soggetta a notevoli incertezze, alcune delle quali sono analizzate nello stesso documento presentando «scenari alternativi».
La fragilità del quadro deriva da almeno quattro elementi:
a) Il protrarsi degli effetti della guerra sull’economia. La previsione sconta l’ipotesi che la crisi ucraina si risolva presto e non comprometta gli approvvigionamenti energetici, con un ritorno relativamente rapido dell’economia sul suo sentiero di crescita. Le analisi presentate quasi contemporaneamente dalla Banca d’Italia nel Bollettino economico mostrano quanto aleatoria sia questa ipotesi.
b) Le nuove spese causate dalla guerra, indipendentemente dal protrarsi di essa. Come già argomentato su queste colonne, se l’Italia prende sul serio gli impegni internazionali di rafforzamento dei dispositivi di difesa e le proprie promesse di accoglimento e aiuto ai rifugiati, questo comporterà spese di molti miliardi, distribuite su più anni, ma concentrate nel breve termine. Il Def “a legislazione vigente” tiene conto solo delle spese già decise, che sono di entità minima rispetto a quelle che si prefigurano in parte già a partire da quest’anno.
c) I tassi di interesse. Il Def incorpora già un aumento dell’onere per interessi rispetto a quello (eccessivamente ottimistico) della Nadef di ottobre. I tassi di interesse su cui queste stime si basano sono però già superate. Ancora per un po’ di tempo ci protegge la Bce con i suoi acquisti, ma su questo non si può contare a lungo. Val la pena poi di sfatare qui una “leggenda” molto diffusa, secondo cui la lunga scadenza del debito rende trascurabile l’effetto dell’aumento dei tassi sull’onere per interesse. La lunghezza del debito ritarda, non elimina, quell’effetto. Invece di manifestarsi subito, si manifesta dopo. Ma come più lento è l’effetto in aumento, così più lenta sarà la diminuzione di quell’onere, nel giorno in cui i tassi dovessero ridiscendere.
d) Infine, l’effetto dell’inflazione sul Pnrr. A parità di spesa programmata, l’inflazione erode il valore reale, ergo l’efficacia del piano. Il Def già sconta un impatto più limitato a breve a causa di ritardi nell’attuazione. Ma non c’è solo quello. Se non si provvederà all’adeguamento degli impegni monetari, cioè a maggiori spese, andrà preventivato un minore beneficio complessivo del piano poiché si riduce la portata degli interventi.
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