Nuove scoperte sull’Isola Madre
di Marco Carminati
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Le Isole Borromee, al centro del Lago Maggiore, conservano tesori d’arte d’eccezionale bellezza e tesori botanici altrettanto importanti (questi ultimi molto valorizzati dalla recente pubblicazione I Giardini delle Isole Borromee di Lucia Impelluso, Paolo Pejrone e Dario Fusaro, Electa Mondadori, Milano, pagg. 176, € 29).
Esiste anche un terzo “tesoro”, invisibile ai più, che è racchiuso nel palazzo dell’Isola Bella: si tratta del ricchissimo Archivio Borromeo, in grado di documentare nei dettagli la storia del casato dal tardo medioevo ai nostri giorni. L’Archivio Borromeo - attualmente in fase di riordino e di digitalizzazione - è accessibile solo a studiosi che abbiano motivate necessità di consultazione e ricerca. Recentemente vi è potuta accedere Adele Buratti Mazzotta, storica dell’architettura specializzata in disegni e rilievi, e nota – tra le altre cose – per aver dato alle stampe la prima edizione moderna del Trattato dell’Architettura di Pellegrino Pellegrini (Edizioni Il Polifilo), il grande architetto del tardo Cinquecento che lavorò per i Borromeo in Italia e per Filippo II d’Asburgo in Spagna. Grande esperta di ricerche archivistiche, Adele Buratti Mazzotta ha chiesto di consultare l’Archivio Borromeo per chiarire le fasi di costruzione del palazzo che si erge sul lato meridionale dell’Isola Madre (la prima e più antica isola abitata dai Borromeo), e per definire meglio la presenza e il ruolo di Pellegrino Pellegrini in questa fabbrica, a lui tradizionalmente attribuita. Navigando tra la marea di faldoni (e sfidando eroicamente i rigori invernali dell’Archivio), la studiosa ha potuto mettere mano a una notevole quantità di documenti inediti che, letti e interpretati con competenza, le hanno permesso di scrivere una storia del palazzo e dei giardini dell’Isola Madre assai ricca di novità.
Il frutto della ricerca è il libro L’Isola Madre, da Insuleta Sancti Victoris a Isola Renata, un millennio di storia, che l’autrice ha scritto con uno stile piano e accattivante, mimetizzando al massimo l’acribia filologica della ricerca. La materia è divisa in otto capitoli. Il primo narra le origini dell’isola, uno scoglio di scisto di quattro ettari di superficie e di un chilometro di diametro che fece capolino nella storia nell’anno 846 come insuleta con poche case, una chiesetta dedicata a san Vittore, un cimiterino e alcune piante d’ulivo destinate alla produzione dell’olio da usare nelle liturgie. Durante l’età medievale, l’Isola di San Vittore è appartenuta a vari proprietari (abati e vescovi) e solo nel 1501 appare il documento che ratifica il passaggio di proprietà dal vescovo di Novara al nobile Lancillotto Borromeo.
Nel secondo capitolo - dove si parla dell’acquisto dell’isola da parte dei Borromeo - ecco farsi avanti la prima grande novità. Sinora s’era creduto che la fabbrica del palazzo sull’Isola Madre fosse iniziata nella seconda metà del Cinquecento, a opera del Pellegrini. Invece le carte d’archivio dimostrano che il palazzo venne principiato nei primi anni del Cinquecento. Lo provano i pagamenti erogati tra il 1510 e il 1520 per «voltare» le sale e comperare travi di legno, colonne, «prede cotte» (cioè tegole), ferri per infissi e serrature, «tapizarie» per le sale interne. I documenti provano che i Borromeo misero mano precocemente anche agli spazi attorno al palazzo, assumendo un «magistro per le piante» (il giardiniere), comperando a Genova «cedroni, limoni e naranzi», piantando viti e alberi da frutta e destinando il resto del terreno a orto e a «feno».
Per via di matrimoni, l’Isola di San Vittore passò attorno al 1520 alla famiglia Trivulzio, e solo nel 1563 Renato Borromeo rientrò in possesso della proprietà, che da lui prese il nome di Isola Renata. Renato Borromeo diede nuovo impulso alla fabbrica del palazzo chiamando Pellegrino Pellegrini a occuparsene. E come i documenti d’archivio confermano fu proprio il grande architetto a dare al palazzo l’aspetto tardo cinquecentesco che ancora oggi vediamo. Pur avendo stabilito le «altezze» della fabbrica e fatto acquistare colonne, colonnette, capriate e «prede cotte», il Pellegrini però non concluse l’edificio perché partì per la Spagna, convocato da Filippo II all’Escorial. Allora i Borromeo chiamarono a sostituirlo il suo acerrimo rivale, l’architetto Martino Bassi, il quale, dopo avere aspramente criticato l’operato del Pellegrini, propose un faraonico rifacimento del palazzo e dei giardini, fornendo bellissimi disegni che possiamo ammirare nel libro ma che saranno destinati a restare sulla carta. Il palazzo rimase infatti incompiuto, anche se le stanze già terminate vennero comunque arredate con «cadreghe, scagni, scabelle, banchi, tapeti e credenze», assieme a «lettiere» con tanto di «preponte e materazzi» (così testimoniano gli «Inventari» di casa consultati da Adele Buratti Mazzotta). A fare grandi progressi furono invece i giardini, dei quali possiamo immaginare l’aspetto grazie ai disegni inediti dell’architetto Filippo Cagnola, che nel 1710 immortalò con grande precisione scalinate, pergolati, vasi, eccetera.
Tra Seicento e Settecento l’Isola Renata (o Madre) risentì della forte “concorrenza“ del palazzo e dei giardini che stavano sorgendo sulla vicina Isola Bella. Tuttavia, l’Isola conobbe un nuovo “momento di gloria” grazie all’eccentrica figura di Federico Borromeo (1703-1779), un militare dalle mani bucate che, conducendo nella villa di Senago «una vita molto allegra e dispendiosa tanto da falcidiare il suo patrimonio», venne praticamente relegato dalla famiglia sull’Isola Madre nella speranza che qui potesse contenere spese e tenore di vita. Ma, a quando pare, non lo fece, perché sappiamo che Federico Borromeo (chiamato in famiglia «lo strambo») fece costruire in casa un teatro a più ordini per farvi rappresentare opere musicali e commedie teatrali (Carlo Goldoni gliene dedicò una). Adele Buratti Mazzotta ha trovato in archivio un bellissimo disegno inedito che illustra proprio l’interno di questo teatro, oggi purtroppo scomparso.
Le Isole Borromee divennero celebri nell’età del Grand Tour, e l’Isola Madre conobbe la rivoluzione del verde esterno con l’avvento della moda romantica del «giardino all’inglese». Il palazzo restò invece senza una precisa destinazione d’uso, tanto che la famiglia pensò di affittarlo come casa di vacanze e persino di trasformarlo in albergo. Ma questi progetti sono rimasti nel limbo delle intenzioni. A definire il futuro dell’Isola Madre sono stati invece Giberto e Bona Borromeo Arese tra gli anni Sessanta e Ottanta del Novecento: il palazzo (sontuosamente arredato con mobili e opere d’arte provenienti dalla villa Borromeo Arese di Cesano Maderno) e i vasti giardini (popolati da essenze rare e da uccelli variopinti) sono stati definitivamente destinati al godimento del pubblico. Su questa via Giberto e Bona Borromeo Arese (alla quale il libro è dedicato) si sono davvero molto impegnati. Ora tocca alla generazione successiva, che vede appassionatamente coinvolti Vitaliano e Marina Borromeo Arese.
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