Taranto, ex Ilva: le tappe dello scontro Regione, prefetto, Comune
di Domenico Palmiotti
8' di lettura
Da novembre scorso non si chiama più Ilva ma Arcelor Mittal Italia. C'è stato il passaggio di mano dalla lunga gestione commissariale al nuovo investitore, ma quella della più grande acciaieria europea con sede a Taranto continua a essere una storia tribolata. Molto. Nella scorsa estate, settimane di incertezza (e di dubbi) a seguito dell'avvento del Governo giallo-verde. “La chiudono?”, “La ridimensionano?”, “Annullano il contratto con Arcelor Mittal?”. Considerati gli annunci della campagna elettorale di un anno fa, la presenza dell'M5S nell'Esecutivo dava adito a più di un interrogativo. Poi, come si é visto, dal Governo, e dai pentastellati soprattutto, non è venuto nessun dietro front. Sì alla continuità produttiva della fabbrica, sì alla cessione dell'Ilva ad Arcelor Mittal (che ha messo sul piatto 2,4 mld di euro di investimenti e 1,8 mld come offerta di acquisto).
Al tempo dell'incertezza, è seguito poi a Taranto il tempo della contestazione. Tutti coloro che, ambientalisti in primis, avevano votato Cinque Stelle, hanno accusato il movimento di “tradimento” e di essersi completamente rimangiato le promesse di chiusura dell'acciaieria fatte alla città. Una contestazione tutt'altro che sopita (di recente i parlamentari sono stati di nuovo attaccati in un'assemblea) e che ha causato anche strappi politici. L'M5S, infatti, tra dimissioni e passaggi in altri gruppi, non ha più i suoi due rappresentanti nel Consiglio comunale di Taranto e si è politicamente azzerato. Ora al tempo dell'incertezza e a quello della contestazione, ne è subentrato un altro: quello della paura. La paura derivata dal fatto che dopo un periodo di regressione, frutto della minore attività produttiva del siderurgico, gli inquinanti, dalla diossina agli idrocarburi policiclici aromatici, sono in risalita.
Le due ordinanze del sindaco
È una paura che si nutre di due cose. Da un lato le ordinanze di divieto del sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, coinvolte scuole e terreni, e dall'altro la massa di dati, negativi, che i movimenti ambientalisti prima e l'Arpa Puglia poi, l'Agenzia regionale per l'ambiente, hanno diffuso. Dati che segnalano più inquinanti nell'aria. Certo, Arpa, autorità locali, commissari Ilva, dicono, numeri alla mano, che non sono stati superati i valori limite fissati dalle norme, ma questo non basta a tranquillizzare una comunità. Troppe ferite aperte, troppe delusioni, troppe promesse tradite. E sfiducia. Tanta.
Nel giro di poche ore, nei giorni scorsi, il sindaco ha dovuto adottare due provvedimenti. Ha chiuso per 30 giorni due scuole del quartiere Tamburi (quello vicino all'acciaieria), la Deledda e la De Carolis, coinvolti 708 tra bambini e ragazzi, per i quali ora si cercano delle soluzioni alternative, e vietato inoltre l'accesso all'area della Salina Grande perché contaminata (e, a differenza del rione Tamburi, la Salina Grande, pur rientrando nell'area Sin, Sito di interesse nazionale, non è vicina agli altiforni). La chiusura delle scuole fa seguito al sequestro di febbraio, da parte della Procura, delle collinette ecologiche che negli anni ‘70 furono costruite tra la fabbrica e i Tamburi dall'allora Italsider pubblica (Iri). Dovevano rappresentare una barriera naturale. Obiettivo: se non impedire, quantomeno ridurre l'impatto delle polveri su case e abitanti. Ma una verifica fatta da Carabinieri del Noe e da Arpa Puglia nella seconda parte del 2018 non solo ha confermato che quelle collinette sono un grande bluff, altroché ecologiche, ma altresì accertato che rappresentano fonte di inquinamento in quanto discariche di rifiuti pericolosi e nocivi. Sostanze altamente tossiche e cancerogene come diossine, furani, pcb, idrocarburi e metalli vari. E c'è da chiedersi come mai non siano stati fatti prima i controlli, visto che da fine luglio 2012 e per molto tempo la fabbrica è stata in mano ai tre custodi giudiziari nominati dal gip Patrizia Todisco che ordinò il sequestro degli impianti dell'area a caldo.
Nell'ordinanza con cui il sindaco Melucci “stoppa” le lezioni, cita quanto gli dicono Arpa Puglia e Asl Taranto (quest'ultima soprattutto), ovvero che data la vicinanza tra le collinette e le due scuole, “non viene escluso il rischio che si possa verificare lo spolverino-dispersione dei contaminanti”. Pertanto “ricorrono le condizioni per proporre un provvedimento di tutela dei soggetti più esposti”. Nel caso della “Salina Grande”, invece, il sindaco impartisce tre divieti: no ad attività che comportino il contatto dermico con i terreni o l'inalazione di polveri; no alla produzione di alimenti e mangimi, pascolo compreso; no, infine, all'asportazione e allo scavo della terra. Questo perché il commissario di Governo alla bonifica di Taranto, Vera Corbelli, gli ha segnalato che, dopo un campionamento fatto, è stato riscontrato il superamento della soglia di concentrazione per arsenico, berillio, stagno, tallio, vanadio e cobalto. Si dovranno fare ulteriori controlli nell'area della “Salina” ma intanto la situazione è questa.
L'offensiva degli ambientalisti
In prima linea c'é l'associazione Peacelink. Che dice: per gli ipa, gli idrocarburi policiclici aromatici, nel rione Tamburi si registra +30% a gennaio e +49% a febbraio scorsi. Peggio per le diossine. Per gli esponenti dei Verdi, Angelo Bonelli e Vincenzo Fornaro (quest'ultimo consigliere comunale a Taranto, ma prima allevatore ed è a lui che anni addietro furono abbattuti decine di capi, tra pecore e capre, perché risultati contaminati gravemente dalle diossine), “in un anno il valore della diossina a Taranto è aumentato del 916%”, passando “da 0,77 picogrammi del 2017 a 7,06 del 2018, molto vicino agli 8 del 2009”. L'anno in cui non solo nell'allevamento zootecnico di Fornaro ma anche in altri ci fu, su ordine dell'autorità sanitaria, una “mattanza” di capi abbattuti.
Cosa dicono i dati Arpa? Premette che dal punto di vista tecnico-scientifico è improprio il raffronto temporale fatto dagli ambientalisti in quanto diversi fattori possono concorrere alla variabilità delle concentrazioni. E spiega che “i dati medi giornalieri di benzene che si visualizzano sul software Omniscope non corrispondono a quelli effettivi e ufficiali rilevati da Arpa ma risultano per ogni centralina moltiplicati per un fattore di 10. Ciò ha verosimilmente comportato una sovrastima delle concentrazioni”. Detto questo, però, Arpa non nega
gli aumenti degli inquinanti. Diossina: il valore medio calcolato da gennaio a ottobre scorsi è di 7,7 picogrammi, “ordini di grandezza tipici degli anni antecedenti al 2012”, cioè prima del sequestro. Benzene: le concentrazioni evidenziano un incremento nei primi due mesi del 2019 rispetto agli stessi mesi del 2018, sebbene, si osserva, molto minore di quello riportato da Peacelink, che ha parlato del +160%. Cokeria del siderurgico: confrontando gennaio e febbraio scorsi col 2018, si osserva per “i parametri polveri e ossidi di zolfo, un notevole incremento (rispetto alla concentrazione media giornaliera dello stesso periodo del 2018)”. Idrocarburi policiclici aromatici: è un parametro “non normato”, ma gli incrementi per la cokeria sono stati a gennaio scorso del 112% sul 2018 e del 105% a febbraio (sul 2018). Nel rione Tamburi lo stesso inquinante viene dato dalle due centraline, diversamente posizionate, in risalita a gennaio scorso: 7% e 29%. A febbraio, invece, solo una delle due stazioni ha il segno più (45%) mentre per l'altra c'é il segno meno (14%). Come vengono commentati questi dati? Per l'Arpa, “sia i dati dell'anno 2018 che quelli di gennaio-febbraio 2019 non mettono in evidenza, al momento, criticità per quanto concerne il rispetto dei valori limite normativi di qualità dell'aria”. Per il prefetto di Taranto, Donato Cafagna, “i dati forniti concordemente da Ispra e da Arpa escludono che nel 2018 e nei primi due mesi del 2019 ci sia stato, per la qualità dell'aria, un superamento dei valori normativamente disposti in materia di inquinamento”. Per il sindaco Melucci, “la situazione ambientale non presenta aggravamenti rispetto ai mesi scorsi. Non c'é un elemento di nuova preoccupazione”. E anche Enrico Laghi, commissario Ilva, afferma che nello stabilimento e nella città i dati non segnalano lo sforamento dei limiti emissivi per “polveri ed altri materiali potenzialmente inquinanti”. Ma basta a tranquillizzare i tarantini? Secondo Alessandro Marescotti, “la verifica effettuata da Peacelink è comunque significativa e serve a indicare al decisore politico un trend che è in peggioramento”. Eppoi, aggiunge, “la tossicità del PM10 di Taranto ha un impatto sanitario in termini di mortalità 2,2 volte superiore rispetto al PM10 di altre città come sottolinea lo studio Sentieri”. Arpa Puglia, invece, osserva tre cose: 1) “i valori limite attualmente in vigore nell'ambito della normativa europea sulla qualità dell'aria non garantiscono assenza di effetti avversi sulla salute”; 2) “la cokeria resta un impianto di particolare criticità del ciclo siderurgico integrale a Taranto, in quanto sorgente emissiva di inquinanti dannosi e cancerogeni (in particolare: benzene e idrocarburi policiclici aromatici) e non oggetto di adeguamenti sostanziali”; 3) sinora “il sensibile miglioramento della qualità dell'aria nel quartiere Tamburi, in relazione alle emissioni inquinanti del limitrofo impianto siderurgico” è stato “certamente” conseguenza dello “stato di parziale attivazione degli impianti, molti dei quali sono tuttora in fermata per adeguamenti o manutenzioni, e al conseguente minore volume di produzione”. Va oltre la Regione Puglia che col governatore Michele Emiliano chiede che a questo punto si riveda l'Autorizzazione integrata ambientale data all'ex Ilva che stabilisce prescrizioni e produzione. “Il ministro Costa - afferma - deve avere il coraggio di avviare la revisione dell'Aia che gli abbiamo chiesto e di non minimizzare come in passato hanno fatto altri ministri”. Per Emiliano, “è chiaro a tutti che i dati sulle emissioni registrati da Arpa restano estremamente preoccupanti e certamente in crescita. Se il Governo non vuole chiudere la fabbrica della morte, l'unica strada percorribile resta quella della decarbonizzazione della stessa”. Anche il procuratore della Repubblica, Carlo Maria Capristo, vuole capire: ha convocato un vertice (sarà presente Arcelor Mittal Italia) per il 18 marzo. Oltretutto il siderurgico resta in gran parte uno stabilimento sotto sequestro.
L'assedio ad Arcelor Mittal
Arcelor Mittal è sott'accusa. L'azienda ha risposto sostenendo che i controlli sono effettuati “secondo i più alti standard disponibili” e che la produzione è “pienamente conforme” a tutte le regole dell'Autorizzazione integrata ambientale (Aia). Citato anche l'avanzamento del piano ambientale, tra cui la copertura del primo dei due parchi materie prime, quello minerali, per il quale, ultimata la costruzione della struttura a grandi arcate, ora si sta predisponendo la copertura. Copertura che dovrà evitare che il vento sollevi le polveri. Il contesto per Arcelor Mittal non è tuttavia facile. Anzi. Nei giorni scorsi un gruppo di cittadini ha simbolicamente chiuso con una catena ed un lucchetto uno dei cancelli della direzione (“Ora vi chiudiamo noi”); la decisione aziendale di mettere le bandiere a mezz'asta all'esterno della fabbrica il 25 febbraio, giorno della fiaccolata a Taranto per i bambini vittima dell'inquinamento (migliaia di persone in marcia), è stata molto contestata sui social; fioccano gli esposti in Procura (a breve ne sarà depositato uno che per ora ha raccolto 5mila firme); infine, dopo che il gip di Taranto, Benedetto Ruberto, ha sollevato alla Consulta il tema dell'incostituzionalità della legge del 2015 sull'immunità penale (vale solo per l'attuazione del piano ambientale), il Governo pensa ora di eliminare lo scudo giudiziario (il ministro Barbara Lezzi ha dichiarato che sarà fatto in uno dei prossimi provvedimenti utili e il ministro Sergio Costa ha parlato di norma già scritta).
La protesta verso le istituzioni
Comune occupato, tentativo di sfondare il cordone delle forze di polizia posto davanti all'ingresso della Prefettura dove era in corso un vertice con l'Ispra: i movimenti vari, molti dei quali radicalizzati nella protesta, alzano il tiro. E un delegato sindacale Fim Cisl, all'esterno della fabbrica, viene aggredito con un coltello (ma non é stato ferito) da un lavoratore in cassa integrazione. E in piazza Castello, davanti al Municipio, venerdì 8 marzo tantissime persone hanno manifestato rivendicando la tutela della salute. In prima fila, i bambini delle due scuole chiuse insieme alle loro mamme e a tanti residenti nel rione Tamburi. Dalla piazza partiti gli slogan, ritmati anche col battito delle mani, perché il sindaco firmi la chiusura. Riferimento alle fonti inquinanti e al siderurgico.
Diossina, stato della cokeria, conseguenze delle collinette ecologiche ecologiche: ora parte un piano di ulteriori accertamenti che mette insieme Ispra, Arpa e commissario alla bonifica. “Non escludo per il futuro alcun provvedimento che, dinnanzi ad evidenze scientifiche e nel rispetto delle norme, sia volto alla massima tutela della salute dei tarantini” annuncia il sindaco. Il che prelude ad una possibile stretta sull'acciaieria. Il segno che per Taranto, lacerata dal conflitto salute-lavoro, la svolta è ancora lontana.
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