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Nuovo nucleare, perché sarà pronto tra almeno vent’anni

Coniuga le esigenze di decarbonizzazione e indipendenza energetica. Ma presenta «incertezze in economicità e fattibilità», secondo l’esperto Antonio Volpin

di Sara Deganello

(Daniel Prudek - stock.adobe.com)

2' di lettura

«Il nucleare è un’opzione che va studiata e su cui va sicuramente investito ma è una soluzione perseguibile nel lungo termine e che al momento presenta notevoli incertezze nell’economicità e nella fattibilità: avrà un impatto reale fra almeno vent’anni». Così Antonio Volpin, consulente nel settore energia con un passato all’interno di McKinsey&Company e ora nel board of directors del gruppo energetico di Singapore SP Group, commenta il ritorno del nucleare nelle agende politiche e industriali europee.

In particolare, nell’ultimo accordo sulla nuova direttiva europea per le rinnovabili, l’apertura al nucleare dell’Ue è legata alla produzione di idrogeno, una soluzione sponsorizzata dalla Francia.

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Nucleare per idrogeno

«Certo, il nucleare potrebbe essere particolarmente efficiente nella produzione di questo elemento. Soprattutto con reattori di piccola taglia (small modular reactors), capaci di rendere il processo di elettrolisi più efficiente», conferma Volpin.

«Questa tecnologia vede un rinnovato interesse in Europa e parzialmente negli Usa, ma non è mai stata fuori moda in Corea, in Cina, in India, anche in Giappone. Per le sue caratteristiche è allineata e funzionale alla decarbonizzazione e all’indipendenza energetica. Governi e regolatori stanno valutando cosa si può fare. È giusto continuare a fare ricerca e studiare soluzioni, ma bisogna essere consapevoli che una produzione commerciale richiede almeno 20 anni a partire da oggi. È importante considerare altre opportunità, ma sapere che la priorità è l'accelerazione sulle rinnovabili. C’è da ricordare anche che gli investimenti per sviluppare il nucleare – inteso sempre di nuova generazione – sono enormi, e i sostegni pubblici necessari. In Francia, in Finlandia, nel Regno Unito è stato sviluppato con il supporto statale», racconta Volpin.

Mancanza di competenze

«Il problema in Europa è che con l’interruzione della costruzione di nuovo nucleare per decine di anni e Paesi che hanno scelto di uscirne, non esiste più una supply chain dedicata. Non esistono i luoghi dove produrre e non esistono le persone, le competenze necessarie per farlo. In inghilterra per i reattori di Hinkley Point C di Edf hanno dovuto ricorrere a tecnici cinesi. In Francia a Flamanville li hanno presi dai Paesi dell’Est. E tutto questo senza entrare nel campo delle autorizzazioni. Negli Usa, NuScale Power ci ha messo 10 anni per certificare uno small modular reactor da 60 MW. Ora hanno cambiato capacità e servirà un supplemento di certificazione: passeranno almeno altri due anni, prima della costruzione», conclude Volpin.

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