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Nel mondo dei tessuti per arredamento, il marchio veneziano Rubelli è un’istituzione per qualità, fascino e storia: basta pensare che il cognome figura già in una bolla di pagamento del 1706, diretta a tal Cesare Rubelli che aveva tinto di rosso le vele della Repubblica Serenissima. C’è pure il sospetto che il cognome provenga proprio da quel colore rosso (rubio), e si sia tramandato fino a Lorenzo Rubelli che nel 1889 comprò la tessitura veneziana da cui tutto ebbe inizio.
Fino al 1992 l’azienda ha avuto i telai a Venezia, per poi trasferire la produzione a Como per motivi logistici. Oggi che è arrivata alla quinta generazione - incantando con damaschi, lampassi, broccatelli e velluti regine e personaggi famosi, collaborando con architetti, designer e stilisti di moda,“vestendo” teatri dalla Fenice alla Scala al Bolshoi, fornendo tessuti per i costumi del cinema o per installazioni d’arte, dando vita a una divisione mobili – Rubelli si confronta con la sostenibilità.
«Il mercato dell’arredamento finora non ha richiesto la sostenibilità – spiega Andrea Favaretto Rubelli, uno dei quattro fratelli che rappresenta la quinta generazione - ma si è concentrato sui prodotti belli, performanti, dal giusto prezzo. Sappiamo però che presto cambierà, e per questo ci stiamo attrezzando con nylon di derivazione vegetale, recupero degli sfridi di produzione per fare nuovi filati, durabilità dei tessuti. In particolare, dal punto di vista della sostenibilità, c’è da superare l’ostacolo delle multifibre, che contengono un mix di fibre naturali e sintetiche».
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