ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùL’altra faccia della medaglia

Obbligazioni, l’economia in frenata mette a rischio gli investitori

Una pioggia di bond quasi senza precedenti. Difficile stabilire se, quando e soprattutto in quale misura il fenomeno potrà registrare finalmente una frenata e quali conseguenza avrà sulla sostenibilità del sistema

di Maximilian Cellino

(AdobeStock)

3' di lettura

Una pioggia di bond quasi senza precedenti. Le società fanno la corsa a emettere titoli e sfruttare così le condizioni estremamente favorevoli che si sono create negli ultimi mesi: negli Stati Uniti, così come in Europa, dove secondo quanto segnalano gli analisti di Jp Morgan la scorsa è stata la settimana più «affollata» degli ultimi 18 mesi con titoli investment grade collocati per un valore di oltre 23 miliardi di euro. Difficile stabilire se, quando e soprattutto in quale misura il fenomeno potrà registrare finalmente una frenata.

La finestra dei mini-tassi (addirittura negativi nell’area euro anche per il mondo corporate e non solo per gli emittenti sovrani) non si chiuderà infatti in modo improvviso, e anzi potrebbe ulteriormente spalancarsi visto l’orientamento sempre più espansivo che si accingono a tenere le Banche centrali. Il fatto però che sia Federal Reserve, sia Bce abbiano alzato in modo sostanziale l’asticella delle aspettative espone il mercato a possibili contraccolpi quando nelle prossime due settimane (il 12 settembre Francoforte, il 18 settembre Washington) si prenderanno le decisioni sui tassi e sulle altre misure straordinarie di politica monetaria.

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Ma se la volatilità è pur sempre inevitabile e da mettere in conto nell’immediato, sono ben altre le questioni di fondo che rischiano di riaffiorare in superficie e di influire non tanto sulle scelte degli emittenti, quanto su chi investe su di loro (non di rado appunto con rendimenti sottozero). Il tema della scarsa liquidità di simili tipologie di titoli resta infatti pur sempre di attualità e anzi rischia di farsi più acuto in uno scenario del genere, nonostante l’ondata di bond che continua ad affluire sul primario. Parte di questi, almeno in Europa, verrà verosimilmente riassorbita ancora una volta dalla Bce, che secondo Joao Almeida e Daniele Antonucci di Morgan Stanley potrebbe la prossima settimana (oltre a tagliare i tassi) varare riacquisti di bond pubblici e aziendali fino a 30 miliardi al mese per i 9-12 mesi successivi.

Il problema è che di recente i segnali di tensione in questa direzione si sono moltiplicati. Il team di ricerca sul credito di Goldman Sachs segnala per esempio come la divergenza di prezzo (e di rendimento) fra le obbligazioni più e meno liquide sia tornata a farsi piuttosto sensibile negli Stati Uniti: «La dispersione era quasi ai minimi post-crisi - notano gli analisti - ma ha iniziato nuovamente a crescere e prevediamo che questa tendenza possa prendere ulteriore slancio». La chiave del fenomeno risiede nella maggior differenziazione nei piani di gestione del capitale dei grandi emittenti investment grade (che utilizzano preferibilmente il denaro raccolto per operazioni di fusione o acquisizione o per effettuare buy-back) da una parte, e nel crescente rischio idiosincratico degli high yield dall’altra, in particolare nei settori dell’energia, della vendita al dettaglio, della sanità e del farmaceutico.

Il rallentamento dell’economia renderà inevitabilmente più rischiosi i titoli destinati a finire nelle mani degli investitori

Quest’ultima annotazione solleva l’altra parte del problema: l’intensificarsi delle emissioni coincide non soltanto con il regime di tassi di interesse favorevole, ma anche con il rallentamento dell’economia che renderà inevitabilmente più rischiosi i titoli destinati a finire nelle mani degli investitori. Negli ultimi 3 mesi il tasso annualizzato di inadempienza fra gli high yield Usa supera il 5% ed è in costante accelerazione da quando ha toccato i minimi all’1,3% nel novembre 2018. L’ammontare nozionale di bond finiti in default che da gennaio è pari a oltre 36 miliardi potrebbe inoltre, secondo le proiezioni di Goldman Sachs, superare entro fine anno la quota dei 43 miliardi registrata nel 2016 che rappresenta l’ammontare più elevato post-Lehman. È vero che in assenza di una vera e propria recessione negli Stati Uniti (che Goldman Sachs non prevede a breve termine) difficilmente si potrà assistere a un aumento significativo del livello di inadempienze, ma la vicenda non farà certo dormire sonni tranquilli a chi ha in mano simili tipologie di bond, né fondi obbligazionari che vi investono.

Il discorso vale anche per l’Europa, prova ne sia che proprio questa settimana l’Esma ha rilanciato l’allarme su questa tipologia di strumenti: «Fino al 40% dei fondi obbligazionari high yield potrebbe incorrere in problemi di liquidità, cioè una situazione in cui le loro disponibilità in attività liquide non sarebbero sufficienti a coprire i rimborsi ipotizzabili in uno scenario di shock e sarebbe quindi necessario cedere gli asset meno liquidi», sostiene l’autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, che ha esaminato 297 prodotti della categoria con asset per 187 miliardi e pari a circa l’89% dell’universo del mercato high yeld europeo. Una potenziale mina vagante, insomma, per l’industria del risparmio gestito e per gli investitori che vi affidano fiduciosi il denaro.

Riproduzione riservata ©
  • Maximilian CellinoRedattore

    Luogo: Milano

    Lingue parlate: italiano, inglese, tedesco

    Argomenti: Mercati finanziari, politiche monetarie, risparmio gestito, investimenti, fonti alternative di finanziamento, regolamento del sistema finanziario

    Premi: Premio State Street 2017 per il giornalista dell'anno - Categoria Innovazione

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