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Obbligo di soggiorno, fuga al nord per curare la calvizie non giustifica l’«evasione»

Un viaggio di 800 chilometri, dalla Basilicata a Milano, dovuto al disagio causato dall’alopecia. Per i giudici si poteva cercare un rimedio più vicino. E scatta la condanna

di Patrizia Maciocchi

(Francesco Fotia / AGF)

1' di lettura

Una fuga, di 800 chilometri, dal comune di residenza, dove c’era un obbligo di soggiorno, dovuto al disagio di un’incipiente calvizie. Dalla Basilicata a Milano - violando la misura di prevenzione della sorveglianza speciale disposta in base al Codice antimafia - per cercare una cura che ponesse rimedio al malessere psicologico causato dall’alopecia. Una motivazione che non convince la Cassazione che si allinea alla scelta della Corte d’Appello, e condanna ad un anno di carcere il ricorrente. I giudici si mostrano poco “sensibili” al travaglio dell’uomo, classe ’94, per la perdita dei capelli, e affermano che questo non basta a giustificare un viaggio fino a Milano, dove era stato sorpreso in un hotel. «Non vi era, infatti, alcuna certificazione - si legge nella sentenza - sull’accertamento del fatto che l’imputato non era in grado di controllare le proprie azioni o di sottoporsi a cure adeguate senza doversi allontanare di 800 km dal proprio domicilio».

Per la Suprema corte è stata legittimamente esclusa anche la non punibilità per la particolare tenuità del fatto, visto che l’uomo si era allontanato per più giorni «in maniera del tutto ingiustificata». Alla pena detentiva, si aggiungono il pagamento delle spese di giudizio e un versamento di 3 mila euro in favore della cassa delle ammende. Il tutto senza aver bloccato la caduta dei capelli.

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