Obiettivo India per le filiere della regione: nel 2022 l’export verso il Paese a +23%
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di Ilaria Vesentini
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È partita la corsa dei distretti manifatturieri emiliani al continente indiano per presidiare, con produzioni locali, la prima economia mondiale per crescita del Pil (tra +6 e +7% da qui al 2024) nonché il mercato più popoloso al mondo. Chi già c’era, come Dinamic Oil, sta raddoppiando la scommessa; chi non c’è sta aprendo fabbriche o preparando lo sbarco, dall’agromeccanica alla meccatronica, dalla chimica alla ceramica. «Siamo presenti in India dal 2002 con sedi dirette a New Delhi, Bangalore e Pune. Se fino allo scorso anno affiancavamo la costituzione di una newco al mese, ora lavoriamo al ritmo di una nuova società alla settimana, c’è un fermento senza precedenti, perché lì i nostri imprenditori trovano non solo un’industria in forte crescita, ma manodopera a basso costo e seria, ingegneri ben formati e una cultura del lavoro e delle relazioni affine alla nostra. Basta non avere fretta, partire con un orizzonte di lungo termine e capitali pazienti», spiega Alessandro Fichera, ceo di Octagona, società carpigiana di internazionalizzazione del gruppo Bonfiglioli Consulting, diventata il riferimento lungo la via Emilia per lo sbarco nel subcontinente asiatico.
Sono i numeri presentati in occasione dell'“India Opportunity day” organizzato in Confindustria Emilia a spiegare l'importanza crescente del Paese per le filiere regionali: su poco più di 620 imprese italiane con una presenza diretta in India (dati 2021) 91 realtà, ossia il 15%, sono concentrate nel triangolo tecnologico tra Modena, Bologna e Ferrara. E l’interscambio sta correndo a doppia cifra: ha superato i 775 milioni di euro l’export della via Emilia verso il gigante asiatico nel 2022, un +23% in un anno (contro appena un +4% verso la Cina e il doppio rispetto al trend medio del “Made in Emilia” sui mercati globali) e di questi quasi mezzo miliardo sono macchinari.
«L’India è la più grande democrazia al mondo, gode di stabilità politica, di trasparenza normativa e dell’enorme domanda di 1,4 miliardi di abitanti con una ricchezza crescente e l’inglese come lingua ufficiale. È una terra di opportunità per tutti, non solo per l'industria meccanica o l’edilizia (il governo Modi sta mettendo a terra un piano infrastrutturale da 500 miliardi di dollari negli ultimi due anni) ma per la filiera del leisure, perché gli indiani amano divertirsi, e per il settore energetico, perché vogliamo diventare il più grande “manufacturing lab” del mondo e vogliamo aumentare del 40% le fonti rinnovabili da qui al 2030», spiega Amararam Gujar, deputy chief of mission dell’Ambasciata indiana in Italia, per la prima volta in visita nella motor valley. Se i grandi marchi sono già approdati da tempo nel subcontinente, «ora sono maturi i tempi per le medie imprese del Made in Italy, che noi indiani amiamo moltissimo – aggiunge Gujat - e garantiamo, come ambasciata, tempi rapidissimi per visti e permessi».
In attesa dell’accordo di libero scambio tra Europa e India, già oggi ci sono condizioni di investimento e tassi di crescita impensabili in Occidente: +30% la dinamica di fatturati e marginalità dal 2020 a oggi in India, escludendo la pausa Covid. «L’India non è la Cina, c’è tanta burocrazia da affrontare – sottolinea Fichera – e pochi finanziamenti da cogliere, ma le dinamiche dei pagamenti sono veloci, la media è a 60 giorni e i rischi non sono maggiori di quelli che una Pmi deve affrontare negli Usa. Sconsiglio a un’azienda sotto i 20 milioni di euro di fatturato di avventurarsi in India: non è un mercato che si gestisce dall’ufficio o da casa, bisogna esserci e aspettare anni per raccogliere i frutti».
La modenese CBM (sistemi di traino e sollevamento attrezzi per trattori agricoli) è in India dal 1999 per servire clienti quali Cnh, Same, John Deer, prima con una joint venture, poi, dal 2010, con il controllo totale di Mita India Pvt Ltd, nell’Uttar Pradesh: da allora ha aumentato il fatturato da 7,5 a 57 milioni di euro, e realizza lì 10 dei 35 milioni di Ebitda del gruppo. La Dinamic Oil (argani e motoriduttori di Bomporto, Modena), partita 15 anni fa vicino a Delhi con appena cinque persone, oggi ha 180 addetti in India e ha investito 15 milioni di euro per un nuovo stabilimento di 15mila metri quadrati. Il big ceramico di Finale Emilia Panaria Group, partito nel 2012 in India con una joint venture commerciale e il marchio “Bellissimo style italiano”, tre anni fa ha rilevato la quota del partner locale ed è arrivato ora ai 650mila mq di piastrelle prodotte da fornitori indiani (e con un nuovissimo showroom a Delhi). E sta studiando ora l’investimento diretto in una fabbrica.
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