Obiettivo sconto sul deficit, partita con la Ue in due tempi
di Dino Pesole
3' di lettura
Il sentiero stretto che il Governo si accinge ad imboccare sul fronte dei conti pubblici passa soprattutto dall’indicazione, con il Def in arrivo entro il 10 aprile, del percorso di riduzione del deficit e del debito. Il problema dunque non è tanto la manovra correttiva che vedrà la luce subito dopo il varo del Def, la cui entità potrebbe scendere da 3,4 a 3 miliardi grazie a un Pil in crescita di uno o due decimali in più quest’anno, rispetto all’1% programmato. Il segnale atteso da Bruxelles dovrà essere comunque rispettato, garantendo un intervento sul deficit strutturale (calcolato sul Pil potenziale) tale da consentire in maggio di non avviare la procedura d’infrazione per disavanzo eccessivo, causato dal mancato rispetto della regola del debito. Molte e pesanti incognite si addensano sul Def e soprattutto su entità e composizione della manovra per il 2018, che dovrà essere approvata in ottobre. Da qui, al momento, prendono il via due scenari, sui quali si stanno esercitando simulazioni e riflessioni tra il Mef e Palazzo Chigi. Nel primo caso, si lascerebbe inalterato il target sul deficit del prossimo anno nei dintorni dell’1,2% del Pil, come previsto dalla Nota di aggiornamento del settembre dello scorso anno. Il che rassicurerebbe la Commissione Ue, ma prefigurerebbe una manovra correttiva che al momento viene indicata nei dintorni dei 20 miliardi. A settembre poi con la Nota di aggiornamento, si indicherebbe il nuovo target (tra l’1,8 e il 2%). La cifra è comunque ritenuta politicamente improponibile, perché cadrebbe di fatto a ridosso della campagna elettorale (in caso di voto all’inizio del 2018), e anzi potrebbe aprire la strada a un anticipo autunnale dell’appuntamento con le urne. Ma è giudicata assolutamente inopportuna anche dal punto di vista dell’impatto sulla crescita.
La seconda strada è quella di indicare già nel Def di aprile il nuovo target del deficit 2018, riducendo fin d’ora in tal modo il conto della correzione del prossimo autunno. Il tutto fermo restando che al momento l’intendimento è di non far scattare l’aumento di Iva e accise per 19,6 miliardi (le clausole di salvaguardia del 2018). L’esercizio è sostituirle in parte con l’aumento del deficit, in parte con misure strutturali (un mix di tagli di spesa e aumenti di entrata concentrati sul capitolo lotta all’evasione). Scenari che in tutti i casi contemplati prefigurano una serrata trattativa tra Roma e Bruxelles, da qui al prossimo autunno. Al momento – stando alle indiscrezioni che trapelano in sede governativa – una decisione in un senso o nell’altro ancora non è stata adottata. L’incrocio tra un approccio di politica economica che comunque salvaguardi l’impianto di una manovra pro-crescita (con annessi gli interventi fiscali allo studio sul costo del lavoro), e quello interamente politico (la variabile interna, e soprattutto l’atteggiamento di Matteo Renzi, probabile vincitore delle prossime primarie del Pd) rende l’intera partita alquanto complessa. Di certo, Renzi – lo ha già detto chiaramente – non appoggerebbe una manovra monstre a suon di tagli e aumenti di tasse, a pochi mesi dalle elezioni. Il negoziato con l’Europa potrebbe anche far saltare il banco del Governo, e non a caso il premier Paolo Gentiloni parla in questi giorni di margini di trattativa con Bruxelles. Ma la variabile politica riguarda anche l’atteggiamento della Commissione Ue. Si guarda alle prossime elezioni in Francia e all’appuntamento elettorale in Germania del prossimo autunno. Emerge una qualche apertura rispetto alle intenzioni programmatiche del Governo (se pur con molta cautela dopo la flessibilità già concessa nel 2015-2016 e in parte anche nel 2017), ma è arduo fin d’ora prevedere a quale punto di mediazione si attesterà il negoziato. Di certo, sono attesi impegni cogenti sul versante delle riforme e della riduzione del debito.
loading...