Occupazione femminile: la maternità spiega molto, ma non tutto
Il tasso di occupazione delle donne single è simile in Italia e in Europa, ma per le donne in coppia con figli conciliare famiglia e lavoro sembra essere più difficile nel nostro Paese
di Luisa Rosti
4' di lettura
È vero che solitamente la presenza di figli minori riduce il tasso di occupazione delle madri, ma in Italia le donne sono senza lavoro anche quando sono senza figli. Se la presenza di figli spiegasse tutto, non saremmo in fondo alla graduatoria dei Paesi europei contemporaneamente per la bassa natalità e per la bassa occupazione femminile.
Nel nostro Paese, come nella media dei Paesi europei, la presenza di figli minori condiziona la partecipazione al mercato del lavoro dei genitori in modo opposto: riduce l'occupazione femminile e aumenta l'occupazione maschile.
Lo svantaggio delle mamme
Il tasso di occupazione delle donne single è simile in Italia e in Europa (81% e 84% rispettivamente), ma per le donne in coppia con figli conciliare famiglia e lavoro sembra essere più difficile nel nostro Paese: il tasso di occupazione cala infatti in modo netto, sia rispetto alle single (60% contro 81%), sia rispetto alle donne in coppia con figli che vivono in altri Paesi europei (60% contro 75%) .
Nel confronto con gli altri Paesi si osserva che la maternità non sempre riduce l'occupazione femminile: in Finlandia e nei Paesi Bassi, ad esempio, la quota di occupate è la stessa sia per le madri sia per le non madri, e in Svezia, Danimarca, Slovenia, Croazia e Portogallo le madri hanno un tasso di occupazione maggiore, e non minore, rispetto alle donne senza figli.
In Italia, invece, è da notare il fatto che la maternità sembra essere un problema per l'occupazione femminile prima ancora di realizzarsi concretamente: il confronto con i tassi di occupazione delle donne che vivono in coppia, ma che non hanno figli, mostra infatti una riduzione netta rispetto alle single che non compare negli altri Paesi europei; in questo caso i figli non ci sono, c'è solo il vivere in coppia, ma mentre in Europa questa decisione porta ad un leggero aumento del tasso di occupazione rispetto alle donne single (da 83,9 a 84,2%), in Italia la sola scelta di vivere in coppia abbassa drasticamente la probabilità di essere occupata (da 81% a 76%).
Le peculiarità italiane
A prescindere dalla maternità, quindi, nel nostro Paese è già la scelta di vivere in coppia che si abbina ad un aumento del tasso di occupazione maschile e ad una riduzione del tasso di occupazione femminile rispetto alla condizione di single, mentre in Europa, in media, la vita in coppia è associata ad un aumento del tasso di occupazione di entrambi i partner.
In conclusione, che siano con prole o senza prole, resta il fatto che le donne in Italia hanno il tasso di occupazione più basso di tutti gli altri 26 Paesi dell'Unione europea. E questo è un problema, nel contesto demografico attuale. Le donne di oggi hanno ambizioni diverse da quelle delle generazioni precedenti, e le famiglie di oggi sono molto diverse da quelle del passato. Il lavoro di cura è stato a lungo un problema latente, invisibile per la società; ma la marcata divisione dei ruoli che ha portato gli uomini a concentrarsi sul lavoro per il mercato e le donne a farsi carico di tutte le esigenze di cura non è più sostenibile nella realtà attuale.
Il compito della politica
Nella società odierna, entrambi i generi hanno le stesse aspettative di autorealizzazione nell’istruzione e nelle prospettive occupazionali e di carriera, ma le probabilità di successo nell'attività lavorativa (occupazione, retribuzione e carriera) non sono le stesse per uomini e donne. Anche le aspettative su chi debba anteporre il benessere della famiglia alla propria carriera non sono le stesse per uomini e donne: ancora oggi, molti uomini si aspettano che sia la compagna a farsi carico delle responsabilità familiari, mentre molte donne si aspettano di condividere questa responsabilità alla pari col compagno; così il tempo delle donne diventa come una coperta corta: da un lato il titolo di studio spinge ad usarlo per l'attività professionale, ma dall'altro le necessità di cura lo reclamano per la famiglia.
In tale contesto, è compito della politica economica governare la struttura degli incentivi (cioè la consistenza dei costi e dei benefici associati alle diverse alternative) al fine di equilibrare la divisione del lavoro tra produzione domestica e produzione per il mercato per entrambi i generi, date le preferenze di donne e uomini e tenuto conto del condizionamento degli stereotipi, al fine di utilizzare nel migliore dei modi tutte le risorse umane di cui la società dispone. Sono pertanto auspicabili sia le politiche a favore della produzione familiare (cioè di condivisione e conciliazione), sia le politiche che incentivano la partecipazione femminile al mercato del lavoro e la non discriminazione nei percorsi di carriera (cioè di occupabilità e pari opportunità). I provvedimenti di entrambi i tipi sono complementari, e non conflittuali, perché il loro fine è quello di permettere a uomini e donne di realizzare al meglio le proprie aspirazioni, superando i condizionamenti legati all'appartenenza di genere.
E no, non è già così, perché nell'ultima rilevazione di Eurobarometro la maggioranza degli italiani (55%) afferma che l’essere nati uomo o donna è un fattore essenziale, o quanto meno importante, per avere successo nella vita; e come per la bassa occupazione femminile, anche in questo caso siamo all'avanguardia, primi tra tutti i Paesi europei (Eurobarometro 529 – 2022).
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