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Oggi siamo tutti diventati Miserabili

Il film di Ladj Ly (disponibile da oggi) è un esordio strepitoso: con ispirazione libera a Victor Hugo e al Kassovitz indagatore delle banlieue in “L'odio” (ma questa volta in versione “insta”)

di Mattia Carzaniga

2' di lettura

Quarto potere di Orson Welles. I quattrocento colpi di François Truffaut. Fino all'ultimo respiro di Jean-Luc Godard. Il coltello nell'acqua di Roman Polanski. La rabbia giovane di Terrence Malick. Sono opere monumentali, lo sanno tutti. Sono opere prime, e questo invece forse sfugge a qualcuno. Si potrebbe aggiungere qualche titolo più recente, da The Witch di Robert Eggers a Scappa-Get Out di Jordan Peele, curiosamente due horror.

Ma la domanda è la solita: resisteranno alla prova del tempo? Siamo più sicuri su I miserabili, nelle sale dal 12 marzo. Lo firma Ladj Ly, quarantenne francese d'origine maliana, e pare già avere il passo del classico. In tutti i sensi. C'è tanto di epigrafe in calce: il racconto è dichiaratamente ispirato al capolavoro di Victor Hugo, c'è oggi lo stesso ribollire di tensioni sociali di ieri, sono solo cambiati les misérables di turno. Ed è ormai un genere a sé – e dunque un classico – il ritratto della banlieue parigina iconograficamente inaugurato da L'odio di Mathieu Kassovitz, di cui il film di oggi riprende i contorni. Ma poi li confonde nel ritmo del nostro tempo, meno epico e più “insta”, difatti non c'è più il bianco e nero ma i colori, a cominciare dal rossobiancoblù della bandiera di Francia, principio e morte insieme dell'identità nazionale.

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Un altro dettaglio è cambiato. I miserabili ora sono tutti, siamo tutti. Tant'è che il vero protagonista del film non è tanto la comunità meticcia di periferia, ma più direttamente un agente, forse troppo umano, che quella comunità prova a capirla: perché in fondo anche lui non sta tanti gradini più su, nella scala sociale. Attorno, capi che pensano solo all'“emergenza” da titolo di giornale e colleghi sovranisti che – immaginiamo noi – si fidano di troppe fake news.

Più del “tema caldo” – sempre per andar dietro agli strilli da quotidiano online – c'è lo stile. E, al primo film, Ladj Ly ne distribuisce a pacchi. Si vede che ha studiato la questione, ma sta lontano dalla didattica e dalla sociologia. Questa è una storia per il cinema, serenata rap e ballata western, lontana dai proclami, caldissima, anzi incendiaria. È nato un autore, eh già, e lo ritroveremo nelle future liste dei migliori debutti. La speranza è ancora nelle mani delle nuove generazioni: se in Truffaut era lo sguardo rivolto al mare del piccolo Antoine Doinel/Jean-Pierre Léaud, qui è l'occhio del drone guidato dal ragazzino che guarda dall'alto la società che brucia, forse per volare via.

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