Oleificio Zucchi: «Serve un sistema unico di qualità per l’olio extravergine sostenibile»
L’azienda ha affidato il compito di indicare le linee guida Sqn (Sistema Qualità Nazionale) a un comitato scientifico costituito da otto docenti universitari di altrettante università italiane
di Natascia Ronchetti
3' di lettura
Dopo la carne e l’ortofrutta, l’olio Evo. Anche per la filiera dell’olio extravergine di oliva è ora di accelerare il percorso per arrivare al sistema di qualità nazionale (Sqn) auspicato dall’Europa per tutti i prodotti dell’agricoltura. Ad aprire la strada è l’Oleificio Zucchi, storica azienda di Cremona (è nata nel 1810) che con 150 addetti ha raggiunto un fatturato di 265 milioni, dei quali il 35% sviluppati all’estero. Tutto all’insegna di una produzione sostenibile.
«Riteniamo che i tempi siano maturi per una definizione comune e condivisa di che cosa è la sostenibilità nell’olivicoltura, dal campo alla tavola», dice l’ad Giovanni Zucchi. L’azienda ha affidato il compito di indicare le linee guida del Sqn (Sistema Qualità nazionale) a un comitato scientifico costituito da otto docenti universitari di altrettante università italiane, dalla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa alla Federico II di Napoli.
«È la base per facilitare l’attivazione di un tavolo tecnico da parte del ministero dell’Agricoltura per definire un disciplinare», spiega Zucchi. Un percorso che ha coinvolto i diversi protagonisti della filiera, una decina tra organizzazioni di produttori, catene della Gdo, associazioni di consumatori e sindacati. A tutti è stato sottoposto un questionario sulle linee guida sviluppate dal comitato scientifico, per agevolare la formazione del consenso intorno alla questione della sostenibilità, sia ambientale sia sociale.
Linee che hanno individuato 59 topics: si va dalle pratiche di coltivazione alla gestione delle risorse idriche per arrivare all’organizzazione e alla qualità del lavoro, nel solco della strategia Farm to Fark che sorregge il Green Deal europeo. «Oggi abbiamo tanti progetti per garantire sostenibilità al settore – prosegue Zucchi – e tutti molto diversi tra loro: ce ne sono almeno una decina ai quali dare omogeneità. Il comitato ha cercato un punto di sintesi, che è un primo passo molto importante». L’approdo è un “bollino” sulla confezione che garantisce la certificazione.
Traguardo fondamentale, visto che il 50% degli italiani pensa che una garanzia istituzionale potrebbe spazzare via i dubbi sull’effettivo impegno per la sostenibilità in tutte le fasi di produzione. Il dato emerge da una ricerca commissionata dalla stessa azienda lombarda al dipartimento di Economia aziendale dell’Università Roma Tre. L’indagine ha coinvolto 1.500 persone, mettendo in evidenza una prima contraddizione: per più dei due terzi dei consumatori la sostenibilità dovrebbe guidare la scelta dei prodotti alimentari, eppure la stessa quota ammette che tra gli scaffali del supermercato non è l’attenzione alla tutela dell’ambiente a prevalere.
Molto di più contano il prezzo, la provenienza e la marca. E questo vale anche per l’olio Evo. Anche perché dalle aziende, dicono gli italiani, arrivano tante dichiarazioni d’impegno «ma quelle davvero sostenibili sono poche». E solo poco più del 10% dei consumatori conosce davvero il concetto di sostenibilità applicato alla filiera.
L’indagine conferma che tra i consumatori serpeggia una sfiducia alimentata anche da messaggi fuorvianti: la maggioranza degli italiani è convinta che tra le dichiarazioni e i comportamenti delle aziende non ci sia corrispondenza. Sempre la maggioranza concorda sul fatto che non sia solo compito delle imprese e delle istituzioni assicurare la sostenibilità della produzione e anche che le aziende non impegnate su questo versante saranno presto tagliate fuori dal mercato. La sensibilità ai temi dell’ambiente e del sociale sta però cambiando le abitudini di acquisto e consumo solo del 14,5% dei consumatori, nonostante appena il 12,9% si dichiari poco o nulla interessato al tema.
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