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Oltre la Spike, gli anticorpi «non canonici» prevedono gravi esiti di Covid

All’Università di Pittsburgh hanno dimostrato che anche gli anticorpi che riconoscono le proteine interne di Sars-CoV2 potrebbero essere importanti per migliorare le terapie ed essere di supporto allo sviluppo di vaccini pan-coronavirus

di Francesca Cerati

2' di lettura

Un nuovo studio dell’Università di Pittsburgh, pubblicato su Cell reports, dimostra che anche gli anticorpi che riconoscono le proteine interne di Sars-CoV2, e non solo la proteina di superficie Spike, potrebbero essere importanti per migliorare i vaccini e le terapie contro il Covid-19 e prevedere lo sviluppo di malattia grave.

Dalla ricerca è emerso che i profili anticorpali delle proteine virali interne hanno predetto la diagnosi dopo l'infezione tanto quanto i profili corrispondenti delle proteine di superficie, suggerendo che puntare su altre parti del virus, oltre alla proteina spike, potrebbe essere importante per migliorare i vaccini e le terapie contro il Covid-19.

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I ricercatori hanno analizzato in modo completo gli anticorpi di tre antigeni canonici e quattro non canonici prelevati da campioni di sangue di 21 pazienti (7 deceduti e 14 sopravvissuti) ricoverati in ospedale con una grave forma di Covid-19 nel 2020, prima dell’approvazione dei vaccini. Quindi attraverso una piattaforma di profilazione anticorpale da loro sviluppata hanno analizzato tre caratteristiche chiave degli anticorpi: la specificità dell’antigene, ovvero il legame con l’anticorpo; la funzione effettrice, che riguarda il ruolo dell’anticorpo nella risposta immunitaria; la glicosilazione, ovvero l’aggiunta di molecole di carboidrati all’anticorpo, che influisce notevolmente sulla sua funzione.

Da qui, hanno scoperto che nessuna singola caratteristica anticorpale era in grado di differenziare gli esiti di sopravvivenza dei pazienti.

«Mentre la maggior parte degli studi sulla caratterizzazione della risposta umorale e cellulare si sono concentrati esclusivamente su un piccolo sottoinsieme di antigeni Sars-CoV2, questo studio identifica altri anticorpi verso antigeni/proteine non canoniche. I ricercatori hanno scoperto che un singolo profilo anticorpale non è predittivo della sopravvivenza del paziente. Ma quando hanno analizzato i profili anticorpali complessivi – canonici o non canonici – hanno notato chiare differenze tra sopravvissuti e non sopravvissuti - commenta Alessandra Mularoni, responsabile del Servizio di Infettivologia e Controllo delle Infezioni di Ismett - Questi risultati potrebbero essere di supporto per lo sviluppo di vaccini pan-coronavirus, e lo studio apre interessanti prospettive verso la comprensione del significato dei profili anticorpali nel Covid e in altri contesti, incluso il rigetto dei trapianti di organi e altre malattie infettive».

«Ma la determinazione del titolo anticorpale - sottolinea Mularoni - resta ancora non utile nella pratica quotidiana come elemento per decidere se sottoporsi o meno alla vaccinazione anti-Covid-19 in linea con le più recenti evidenze scientifiche e con la netta posizione dei più importanti Organi scientifici internazionali».

Infine, la maggior parte dei vaccini e degli anticorpi monoclonali usati per trattare il Covid-19 è diventata meno efficace con l’emergere delle varianti Delta e Omicron, perché le mutazioni nella proteina Spike aiutano il virus a evitare il rilevamento. Mentre, sempre secondo questa ricerca, si sono accumulate molte meno mutazioni nelle proteine interne del virus, il che suggerisce che formulare i vaccini o le terapie per colpire questi antigeni non canonici potrebbe suscitare un’immunità più robusta contro le varianti emergenti.



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