Omicidio Khashoggi, ora anche la Cia accusa Bin Salman: gli effetti sulla diplomazia Usa
di Roberto Bongiorni
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Per uscire allo scoperto ci hanno impiegato un mese e mezzo. Sono stati gli ultimi. Ma la loro versione è la più dura di tutte. Per bocca della Cia, alla fine anche gli Stati Uniti hanno rotto gli indugi: dietro la morte di Jamal Khashoggi, il giornalista assassinato all’interno del consolato saudita di Istanbul lo scorso 2 ottobre, ci sarebbe niente di meno che il giovane principe reggente, Mohammed Bin Salman , l’uomo più potente del regno saudita.
La versione dei servizi di Intelligence è dunque ancora più severa di quella delle autorità turche.
Che indicavano alte sfere della monarchia coinvolte nel brutale assassinio, senza tuttavia menzionare la responsabilità, anche indiretta, del principe reggente.
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L’ultima ricostruzione degli eventi
A diffondere la versione dei servizi segreti americani è stato il Washington Post, il quotidiano americano con cui collaborava il noto giornalista saudita ucciso a Istanbul. Citando le conclusioni della Cia, che avrebbe passato al vaglio una gran mole di informazioni di intelligence (Gina Haspel, direttrice della Cia, era peraltro stata in missione in Turchia), il Washington Post punta i riflettori su di una telefonata tra Khashoggi e Khalid Bin Salman, il fratello del principe reggente, ambasciatore saudita negli Stati Uniti. Khalid avrebbe invitato Khashoggi a recarsi al consolato saudita di Istanbul per recuperare i documenti necessari al suo imminente matrimonio con una donna turca. Per convincerlo gli avrebbe assicurato che non avrebbe corso pericolo. Non è chiaro, scrive il Wp, se Khalid sapeva che Khashoggi sarebbe stato ucciso ma egli fece la telefonata - intercettata dagli 007 Usa - su ordine del fratello.
Negando la versione del Wp, l’ambasciatore saudita negli Stati Uniti si è difeso con un tweet scrivendo che «l’ultimo contatto avuto con Khashoggi fu via sms il 26 ottobre 2017. Non ho mai parlato con lui al telefono».
La controversa versione saudita
Pur negando ogni coinvolgimento della casa reale, il Governo saudita non si è comportato in modo trasparente e collaborativo sin dal primo giorno dell’omicidio. Le contraddizioni in cui è caduta Riad non possono non sollevare più di qualche perplessità sulla sincerità del Governo. Riad aveva prima negato che Khashoggi fosse morto, poi aveva precisato di non saperne nulla. Incalzata dagli eventi, aveva parlato di omicidio ma non dentro al consolato. Per poi riconoscere qualche giorno fa che il giornalista era stato assassinato all'interno dell'omicidio con un'iniziezione letale (ma prima avevano parlato di stangolamento durante una collutazione) e poi fatto a pezzi per far scomparire il cadavere (il suo corpo non è mai stato ritrovato).
Ribadendo «l’assoluta estraneità del principe Bin Salman alla vicenda», due giorni fa, la procura saudita ha annunciato l’incriminazione di 11 persone per l’omicidio, (le persone in carcere, perché coinvolti a vario titolo con l'omicidio sarebbero 21). Per cinque di loro (tra cui il capo del team di 007 arrivato a Istanbul) , la pubblica accusa ha chiesto la condanna a morte. Il fatto che tra gli indagati sia spuntato il nome di Ahmed al Asiri, l’ex numero 2 dei servizi segreti e fedelissimo di Salman, non è da trascurare. Anche perché, insieme a lui, è Indagato e sottoposto a divieto di espatrio, Saud al-Qahtani, lo stratega della comunicazione sui social network di Bin Salman. Il nome di al-Qathani è presente anche nella lista dei 17 alti funzionaridi Riad colpiti dalle sanzioni Usa per «il ripugnante omicidio». I due illustri indagati sono stati già allontanati dalla Corona.
«Di’ al tuo boss che la missione è compiuta»
La pistola fumante che porta dritta al principe saudita non c’è. Non ancora. E forse non la si troverà mai. Ma la Cia non ha dubbi: un assassinio di questo genere, in cui è stato impiegato un team di 15 esperti agenti provenienti da Riad, avvenuto peraltro dentro un consolato saudita, non avrebbe potuto avvenire senza l’approvazione di Bin Salman. Un altro pesante indizio che ha fatto cambiare idea alla Cia è un'altra telefona intercettata dall'intelligence. Fatta da uno dei membri del commando che ha ucciso Khashoggi ad un consigliere del principe Bi Salman, “di al tuo boss”, che la missione è stata compiuto.
A rischio l’alleanza strategica tra Riad e Whasington
Le accuse da parte della Cia al principe saudita Mohammed Bin Salman, indicato come il mandante dell'assassinio di Khasoggi, rischiando ora di incrinare, se non compromettere, quell'alleanza strategica tra Washington e Riad forgiata un anno e mezzo fa proprio da Trump e Bin Salamn. Un'alleanza voluta dal presidente Trump che nel maggio del 2017, nel suo primo viaggio a Riad, aveva firmato accordi di fornitura di armi per oltre 100 miliardi di dollari, facendo del principe saudita Bin Salman il partner in una strategia antii-raniana finalizzata ad isolare la Repubblica islamica. Le accuse della Cia mettono in imbarazzo lo stesso Trump. Fu proprio il presidente americano a contemplare l'ipotesi di «delinquenti comuni» al barbaro assassinio. Col tempo. Però, Trump ha gradualmente preso le distanze dal suo alleato. Non lo ha fatto, invece, suo genero, nonché suo senior adviser, Jared Kushner, l’uomo dell'Amministrazione Trump più vicino a Bin Salman. Lui, nemico giurato dell'Iran e grande alleato di Israele, ha sempre difeso l'alleanza strategica con Riad, anche dopo l'assassinio di Khashoggi, invocando il sostegno al principe saudita. Ora le cose sono cambiate. Drasticamente. Il Congresso, anche da parte repubblicana, vorrà andare fino in fondo. Probabilmente l'alleanza con Riad non cadrà. È troppo importante. Ma molte cose potrebbero cambiare. Ad iniziare dal sostegno americano - politico e indirettamente militare - a Riad sulla guerra in Yemen, divenuta la catastrofe umanitaria più grave del 2018. Una cosa sembra probabile, se non certa. I tempi felici di quell'alleanza forgiata solo 18 mesi fa tra il giovane e ambizioso principe saudita e l'impulsivo presidente americano sembrano finiti.
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