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Open Data e API Economy: l’impatto economico e l’interoperabilità dei dati

Gli open data hanno un valore economico di 184 miliardi di euro nell’Unione Europea nel 2019, ma le aziende devono affrontare la sfida dell’interoperabilità dei dati per massimizzare il loro valore

di Riccardo Saporiti

(Adobe Stock)

2' di lettura

Della centralità dei dati nella loro vita quotidiana gli italiani si sono resi conto tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021, quando l’allora governo Conte, per contenere la diffusione del coronavirus, introdusse le zone a colori. Bianca, gialla, arancione e rossa, determinate in base all’incidenza dei contagi e, con le modifiche introdotte poi da Mario Draghi, il tasso di occupazione dei posti letto, con una serie di divieti più stringenti via via che la situazione del contagio peggiorava.

Nella stessa circostanza si è avuto modo di toccare con mano l’importanza degli open data, ovvero di dati disponibili a chiunque, in formato machine readable e con una licenza che ne garantisca il riuso. Fu proprio utilizzando questi numeri, ad esempio, che il ricercatore Vittorio Nicoletta dimostrò che la Regione Lombardia rimase in zona arancione una settimana di troppo. Ovvero con il divieto di consumazione in bar e ristoranti, centri commerciali chiusi nel fine settimana, palestre, piscine, cinema e teatri con la serranda abbassata.

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Non si tratta però solo di accountability: gli open data hanno anche un valore sul piano economico. Nell’edizione 2020, la seconda dopo quella del 2015, del report “The Economic Impact of Open Data: Opportunities for value creation in Europe”, la commissione europea quantificava in 184 miliardi di euro il valore del mercato legato agli open data all’interno dell’Unione nel 2019. Stimando poi al 2025 un valore compreso tra i 199 e 334 miliardi di euro e un’occupazione tra gli 1,12 e gli 1,97 milioni di posti di lavoro.

Gli open data, però, sono in larga parte dati che vengono rilasciati da enti ed istituzioni pubbliche. E le aziende? A partire dalle big tech, l’utilizzo dei dati è centrale nelle attività di business delle imprese. Secondo il report “The European Data Market Monitoring Tool”, pubblicato dalla commissione europea, il valore dell’economia dei dati nel 2019 era pari a 325 miliardi di euro, rappresentando il 2,6% del prodotto interno lordo dei 27 paesi dell’Unione. Lo stesso studio prevedeva una crescita del mercato fino a 550 miliardi di euro nel 2025, andando così a toccare il 4% del Pil europeo.

Se però le aziende hanno imparato ad utilizzare i dati che la loro attività genera e ad integrarli con quelli rilasciati dagli enti pubblici, manca il passo successivo: l’interoperabilità dei dati di diverse aziende. La direzione, in altre parole, è quella della API economy. Nel linguaggio informatico, le Application Programming Interface sono quegli strumenti che permettono di utilizzare, all’interno di una determinata applicazione, le risorse libere rilasciate da un’altra.

Riportato al contesto aziendale, si tratterebbe di consentire ad un’impresa di avere accesso ai dati, ovviamente anonimizzati, di un’altra e viceversa. Entrambe potrebbero così integrare il proprio database, aumentarne il valore e la profittabilità. Difficile stimare quale possa essere l’impatto di una simile apertura, rispetto alla quale lo scoglio più che tecnologico è culturale. Per le aziende si tratta cioè di modificare quella forma mentis che le vede gelose dei propri dati, con l’obiettivo però di veder crescere il fatturato.

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