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Open Fiber, entro dieci anni investimenti per 11 miliardi

Preoccupa la carenza di risorse e di manodopera. Al momento nei cantieri sono utilizzati indirettamente 7mila addetti, ma già nei primi mesi del prossimo anno ne serviranno altri 4-5mila

di Antonella Olivieri

3' di lettura

La priorità è completare entro il 2023 (quando scadono i fondi pubblici) i lavori nelle aree bianche, a fallimento di mercato, dove Open Fiber, che ha vinto tutti bandi, è ancora indietro, in particolare nella commercializzazione, pur avendo raggiunto quasi 6 milioni di unità immobiliari. In parallelo, tra fine 2022 e inizio 2023, terminare la copertura delle aree nere, quelle concorrenziali, dove la società della rete in fibra ha raggiunto con la formula dell’Ftth (Fiber to the home) più di 7 milioni di case. Infine, partecipare a tutti i bandi per le aree grigie e coprire la parte restante delle zone semiconcorrenziali anche in coinvestimento, per condividere i costi, a patto che ciascuno mantenga la propria rete indipendente.

Il nuovo corso di Open Fiber (60% Cdp e 40% Macquarie), sotto la guida di Mario Rossetti, appena promosso alla carica di amministratore delegato, parte da un piano di nuovi investimenti che cubano 11 miliardi, da gestire da qui al 2031, su un totale di 15 miliardi. Open Fiber si è procurata anzitutto le munizioni finanziarie, con un prestito da 7,2 miliardi ottenuto da otto banche - Bnp, Santander, Paribas, Crédit Agricole, Ing, Intesa, SocGen e UniCredit - che scade nel 2028. Il resto, ad arrivare a 11 miliardi, sarà coperto da un mix di equity e debito. Ma a metà dell’anno prossimo, quando si conoscerà l’esito delle gare per le aree grigie, ci sarà la possibilità di tirare fino a ulteriori 2,8 miliardi di linee di credito uncommitted per sostenere la copertura delle restanti zone commerciali.

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L’incognita sono le regole delle gare - che questa volta dovrebbero però essere basate su un meccanismo a contributo e non più a concessione come è stato per le aree bianche a fallimento di mercato - e l’aggiudicazione delle gare stesse. Sul piatto ci sono 3,7 miliardi di fondi pubblici. «Open Fiber parteciperà a tutte le gare», anticipa Rossetti.

Nelle aree a bando ci sono 6,2 milioni di numeri civici da servire con la banda ultralarga, pari a circa 5 milioni di unità immobiliari. «La formula consortile in linea teorica ci interessa, in particolare per quanto riguarda l’Fwa (formula di trasmissione mista che sfrutta fibra e frequenze radio, ndr), ma dipenderà dai bandi di gara», spiega l’ad. Nelle restanti aree grigie, dove ci sono altri 6,9 milioni di unità immobiliari, si farà il punto a metà 2022. Open Fiber si chiama fuori da qualsiasi tipo di discorso sulla cosiddetta “rete unica”, e del resto neppure ci sono contatti con Telecom, se non quelli ordinari tra operatori.

Rossetti si dice pronto però a discutere di come realizzare sinergie di costo. «Siamo interessati al coinvestimento, ma non quello “commerciale” proposto attualmente da FiberCop (che del resto è rivolto a operatori di servizi, ndr), bensì un coinvestimento “vero” che riguardi l’infrastruttura, studiano le opportune soluzioni tecniche, ma mantenendo due reti indipendenti». Questo non solo nelle aree grigie, ma anche in quelle nere, dove Open Fiber - dice il suo ad - è più avanti di FiberCop (la società della rete secondaria di Telecom).

Il problema riguarda anche la carenza di risorse e di manodopera. Al momento nei cantieri Open Fiber utilizza indirettamente 7mila addetti, ma già nei primi mesi del prossimo anno avrà bisogno di altri 4-5mila addetti. In tutto il settore si stima che manchino dai 15mila ai 17mila addetti per i lavori legati alla banda ultralarga. «Scavare una sola volta potrebbe aiutare», sottolinea Rossetti.

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Open Fiber chiuderà il 2021 con oltre 13 milioni di unità immobiliari cablate in fibra ottica, ma i clienti attivi per il momento sono circa 1,8 milioni. Il problema sono in particolare le aree bianche dove mancano gli allacciamenti, mentre nelle aree nere il tasso di utilizzo delle linee disponibili è superiore al 20% rispetto all’assunto base del progetto che è di arrivare a superare il 50%. A fine piano il margine Ebitda dovrebbe essere superiore al 75%, ma la società dovrebbe raggiungere il break-even - inteso come Ebitda meno investimenti - nel 2026, quando la marginalità dovrebbe risultare superiore al 50%.

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