Capacità militare comune

Ora la difesa europea deve fare un salto di qualità

di Sergio Fabbrini

(AP)

4' di lettura

L’aggressione russa dell’Ucraina ci ha fatto capire la natura di chi l’ha compiuta, anche se non mancano (in Italia) coloro che non vogliono capire. A sinistra, leader sindacali e organizzazioni partigiane hanno giustificato quell’aggressione «perché provocata» dalle mire espansionistiche della Nato, senza alcuna evidenza. A destra, leader politici con legami organizzativi con il partito di Putin (Russia Unita) hanno ricondotto quell’aggressione a un conflitto territoriale tra due Paesi, anche qui sfidando l’evidenza. In nome del realismo del più forte, entrambi chiedono di depositare le armi, come se i torti fossero condivisi. Vladimir Il’ič Lenin aveva chiamato «utili idioti» coloro che esaltavano la rivoluzione bolscevica senza capirla. Lenin è morto da tempo, ma gli utili idioti dell’autoritarismo sono in buona salute (come l’ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder, finalmente allontanato dal suo partito). Vediamo invece come stanno le cose.

L’aggressione russa dell’Ucraina è il risultato sia di un sistema di potere (costruito intorno a Vladimir Putin negli ultimi vent’anni) che di una precisa visione politica (basata sulla missione della Russia come nazione-impero). Nel discorso del 21 febbraio scorso (durato un’ora e fatto a braccio), Putin ha sostenuto che vuole «rimediare agli errori di Lenin». Il principale dei quali è stato quello di istituzionalizzare il principio dell’autodeterminazione nazionale, non già quello della “dittatura del proletariato”. Il principio di autodeterminazione, per Putin, ha condotto alla formazione di una pluralità di repubbliche di carattere etnico-nazionale (quindi aggregate nell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche), con l’inevitabile declino della “grande Russia” pre-bolscevica. Declino conclusosi definitivamente dopo la Guerra Fredda, quando quelle repubbliche rivendicarono il principio di autodeterminazione per realizzare la loro sovranità nazionale. Come ha scritto Walter Russel Mead su The Wall Street Journal, l’aggressione all’Ucraina del 2022 è una tappa del percorso di ricostruzione della nazione-impero di impronta zarista. Un percorso iniziato nel 2008 con l’invasione della Georgia, andato avanti nel 2014 con l’annessione della Crimea, destinato ad allargarsi alle nuove repubbliche formatesi dopo il 1990.

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Ne consegue che queste ultime, se non vogliono cadere sotto il tallone di ferro dei soldati russi, farebbero meglio a seguire l’esempio della Bielorussia di Aljaksandr Ryhoravič Lukašėnka, diventando “autonomamente” stati-fantoccio alle dipendenze di Mosca. C’è dunque una sanguinosa coerenza imperiale nella visione di Putin, condivisa dai gruppi dirigenti del suo partito (Russia Unita) e dello stato (Federazione Russa). Se così è, non si può attendere, nel breve periodo, un suo rovesciamento. Ivo Daalder in Foreign Affairs ha proposto di ritornare alla strategia del Containment, elaborata nel 1946 dall’allora ambasciatore americano a Mosca, George Frost Kennan. In un lungo telegramma inviato al presidente Truman, Kennan consigliò di contenere l’espansione dell’Unione Sovietica, così da creare le condizioni della sua implosione dall’interno. I russi non coincidono con i putiniani. Occorre tenere in vita tutte le cooperazioni possibili di tipo economico e culturale con quel Paese, ma contenendo con determinazione la sua espansione militare e riducendo la nostra dipendenza energetica da esso.

Se così è, l’Europa non può aspettare che passi la nottata. Tant’è che l’Unione europea (Ue), per la prima volta, ha deciso di trasferire armi letali al governo ucraino del presidente Volodymyr Zelenskyy. Olaf Scholz, in una settimana, ha messo in soffitta una politica decennale di appeasement tedesco nei confronti della Russia, decidendo di investire più del 2% del Pil nazionale (100 miliardi di euro) nella difesa (come previsto da un impegno preso dai membri della Nato nel 2006 e mai rispettato). Emmanuel Macron e Mario Draghi hanno proposto di accelerare il progetto dell’Unione della difesa. Bene, ma non basta. Come ha riportato Raul Caruso su Lavoce.info, la spesa per la difesa degli stati membri dell’Ue è già cresciuta del 25% tra il 2014 (annessione russa dell'Ucraina) e il 2020 (raggiungendo i 198 miliardi, 1,5% del Pil dell’Ue), ma ciò non ha accresciuto le capacità di difesa dell’Ue in quanto tale. L’incremento di spesa ha portato alla duplicazione dei progetti e alla moltiplicazione dei costi, con il risultato che abbiamo avuto più spesa nazionale ma meno difesa europea. Occorre invece centralizzare la parte strategica della spesa per la difesa, mettendola al servizio di un progetto europeo di difesa distinto da quelli nazionali (Domenico Moro, tra gli altri, l’ha definito il progetto del «28esimo esercito»). Se la pandemia ci ha obbligato ad avviare la costruzione di una capacità fiscale centrale, l’aggressività russa deve spingerci a costruire una capacità militare centrale, distinta ma non sostitutiva di quelle nazionali, governata da autorità democratiche sovranazionali.

Insomma, l’aggressione russa all’Ucraina non è l’atto crudele di un Macbeth uscito da una tragedia shakespeariana. Essa esprime la visione del gruppo dirigente della Federazione Russa finalizzata ad allargare lo “spazio vitale” (o meglio imperiale) di quest’ultima. Occorre contenere con determinazione tale visione affinché si creino le condizioni interne a quel Paese per il suo rovesciamento. Ciò richiederà un salto di qualità nella difesa europea, senza rinunciare alle cooperazioni possibili. Se la Federazione Russa si comporta militarmente da “Stato canaglia”, come tale va affrontata.

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