Parla Daniel Libeskind

Ora impariamo dai primitivi

Il suo ultimo progetto racconta l’Africa, epicentro dell'avventura umana, dove tutto ha avuto inizio. L’architetto, tra i più celebri al mondo, ne è convinto: dobbiamo connetterci al passato, anche a quello più lontano, per plasmare l’avvenire. «L’intelligenza dei nostri antenati, sopravvissuti in un ambiente molto ostile, ci sia da stimolo», spiega a “IL”

di Enza A. Moscaritolo

Il progetto di “Ngaren: The Museum of Humankind”, il complesso scientifico che sarà realizzato nell'area della Rift Valley, in Kenya, nel luogo in cui è stato ritrovato il primo scheletro completo di uomo primitivo denominato Turkana Boy. Il museo ripercorrerà la parabola dell'evoluzione dell'umanità mettendo al centro delle sue riflessioni il ruolo fondamentale giocato dal continente africano. (MAQE)

3' di lettura

Edifici come lame di selce che svettano verso il cielo. Iconici, maestosi, simboleggiano la nascita dell’ingegno umano. Sono le forme primordiali, elementari, eppure straordinariamente moderne e dense di significato, che Daniel Libeskind ha scelto per il suo nuovo progetto, una sfida professionale in cui è stato coinvolto dal paleoantropologo Richard Leakey: il museo scientifico Ngaren, in Kenya. Là dove tutto ebbe inizio, dove germogliò l'umanità. Un monumento al genius loci.

«Veniamo tutti dall'Africa», esordisce l'architetto polacco-americano, «anche se poi abbiamo percorso strade diverse per arrivare in ogni parte del mondo. Questo museo approfondirà la storia dell'origine dell'uomo, e insieme il suo futuro». Il museo, la cui apertura è prevista nel 2024, sorgerà in cima a una scogliera che domina la Rift Valley, il luogo dove Leakey scoprì lo scheletro più completo del primo uomo, Turkana Boy. Spazi fisici e interattivi che serviranno a raccontare la storia più importante di tutte. «Quando ho visto per la prima volta i nostri strumenti ancestrali ho provato una forte emozione», prosegue Libeskind. «Mettere a fuoco che qualcuno, in quel momento, ha avuto “l'idea” di uno strumento, l’ha pensato, è stata per me una rivelazione. Ma non si tratta solo di questo. È fondamentale riuscire a connetterci con il nostro passato. I nostri antenati hanno dimostrato un'intelligenza straordinaria, sopravvivendo in un ambiente molto ostile. Ora ci troviamo in una situazione analoga, provocata dalla distruzione della natura. Sappiamo tutti che il futuro dipende da noi, ma viviamo in un'epoca in cui i nostri leader non si curano della scienza. Negli Stati Uniti abbiamo un Presidente che non crede ai cambiamenti climatici. Dobbiamo tutti unire le forze per risolvere questa situazione: abbiamo la tecnologia per comprendere il nostro Dna e per mandare l'uomo sulla Luna, possiamo combattere anche i cambiamenti climatici».

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È su questi temi – conservazione del passato e proiezione verso il futuro – che Libeskind ha costruito la propria carriera internazionale, a partire dal Museo Ebraico di Berlino, città dove ha fondato il proprio studio di architettura nel 1989, proprio a seguito della vittoria del concorso per la realizzazione di quell'edificio. Un futuro per il quale continua a professare ottimismo. «Non c'è dubbio che le città cresceranno per dimensioni. La tendenza è già molto chiara, perché offrono lavoro e opportunità. Il nostro compito è renderle più sostenibili, portando la natura al loro interno. Se ci impegniamo, avremo città molto migliori di quelle attuali, città belle e “umanistiche”, più vivibili e con meno sprechi, dove le persone possano godere dei rapporti di vicinato e creare un futuro insieme».
E l’Italia? «L’Italia è sempre stata fonte di ispirazione e sempre lo sarà. È forse la prima nazione al mondo che ci ha insegnato che cosa siano la cultura, l'architettura, la bellezza. Oggi ha forse solo bisogno di una nuova idea di bellezza, che non sia legata soltanto al passato, ma che sappia includere tutti i tempi. La chiave è sempre la stessa: “prendere” dal passato e trasportarlo verso il futuro. E farlo non affidandosi a un sentimento di nostalgia, ma a un atto creativo e produttivo».

Anche nel nostro Paese Libeskind ha firmato diversi progetti, dal Vanke Pavilion per l'Expo 2015 al masterplan di CityLife, dove la torre da lui progettata, il cosiddetto “curvo”, è in fase di completamento. «Sono fortunato ad aver lavorato a Milano, una città della quale sono un profondo ammiratore. Mi piacerebbe un giorno farlo anche a Roma». Libeskind, ex musicista, ha dichiarato a un'emittente radiofonica americana di considerare la sua attività di architetto come un'estensione della sua precedente carriera di fisarmonicista. Eppure non ascolta musica mentre progetta: «Non riesco a considerare la musica come una “cornice”, un sottofondo. Quando la ascolto non faccio nient'altro, se non concentrarmi sulla sua architettura e godere appieno della sua bellezza». Si sente più un solista o un direttore d’orchestra? «Quando realizzi un singolo edificio sei come il solista che suona uno Stradivari», risponde sorridendo. «Ma quando sei alla guida di un intero masterplan, il progetto di un'intera area con interventi di altri architetti, come mi è accaduto a Milano per CityLife e prima a New York per Ground Zero, sei come il direttore d'orchestra che deve portare armonia tra tutte le persone coinvolte. In entrambi i casi, credo che sia importante avere una solida base musicale, l’arte più importante di tutte».

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