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Ortofrutta in crisi profonda e l’import sorpassa l’export

Saldo negativo per le quantità mentre resta positivo nei valori anche se crolla dell’81% Caso agrumi:+38% dall’estero. Affondano colture tradizionali come pere, patate, pesche e pomodori

di Silvia Marzialetti

 Nel calo complessivo delle esportazioni spicca quello degli agrumi al -15% nei primi sei mesi dell’anno

3' di lettura

Il comparto ortofrutticolo made in Italy allarga il gap con i competitors europei e il timore di un rischio paralisi ricorre sovente tra gli operatori. Non è più soltanto un problema di qualità o di quantità: in gioco c’è una perdita progressiva di competitività e di primato commerciale.
Gli effetti della crisi energetica e delle strozzature che hanno rallentato il commercio internazionale si misurano nei dati relativi ai primi sei mesi dell’anno, con l’export che perde il 3,8% in valore e il 6,8% in quantità. È un trend – fa notareFruitimprese – che accomuna tutti segmenti, in particolare frutta fresca (-7,68%) e agrumi (-15,2%).

La cifra record del primo semestre 2021 – 5,2 miliardi di euro – è un miraggio, ma quel che più preoccupa è la forte accelerazione sul fronte delle importazioni, con incrementi a valore quasi tutti a doppia cifra: agrumi (+38,6%), legumi-ortaggi (+32,8%), frutta fresca (+9,5%), frutta secca (+25%).
Le quantità importate (oltre 2 milioni di tonnellate) superano ampiamente l’export (1,7 milioni di tonnellate) e il saldo commerciale in valore è al tracollo: 115 milioni di euro (-81,9%) era di 635 milioni nel 2021.

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Come ricorda Marco Salvi, presidente di Fruitimprese «il nostro Paese rischia di perdere il primato nella produzione e nell’export di molti prodotti di punta». Tra switch produttivi e marcati fenomeni di abbandono, la profonda crisi che attraversa il settore rischia di affondare colture tradizionali come pere, patate, pesche, mais dolce, pomodori, che diventano il secondo prodotto più importato (dopo banane, avocado e ananas) con un valore di circa 97 milioni euro.

«Anche l’andamento della campagna ortofrutticola in questo momento è molto preoccupante» racconta Raffaele Drei, presidente di Confccoperative Fedagripesca Emilia Romagna. Nella regione è appena iniziata la raccolta dei kiwi ed è da poco terminata quella delle pere e delle patate, che richiedono una lunga conservazione. Un processo che Drei definisce “sanguinoso”, considerata l’impennata dei costi energetici. Mai come quest’ultimo anno, poi, cambiamenti climatici e patologie hanno impattato sulle rese, in termini qualitativi e quantitativi.

Anche in Sicilia la campagna agrumicola 2022-2023 è a rischio, insieme con la filiera intermedia: molte industrie di trasformazione chiudono – ricorda Fruitimprese Sicilia – e così viene meno anche la possibilità di collocare il prodotto di seconda-terza scelta, che dovrà essere destinato al macero con elevati costi di smaltimento destinati, inevitabilmente, a ricadere sulle aziende produttrici, visto che le arance di scarto sono considerate rifiuti speciali.

In un contesto così drammatico preoccupa il giro di vite sui fitofarmaci delineato dalla Unione europea, con una revisione del regolamento che punta a un taglio del 62% per gli agrofarmaci chimici e del 54% per le sostanze attive “omologhe”. Il nuovo regolamento istituisce inoltre aree di rispetto su cui è vietato l’uso di qualsiasi fitofarmaco. «Secondo la proposta di revisione attuale, solo in Emilia-Romagna diventerebbe off limits il 60% del territorio – prosegue Drei –. Tanto vale rivolgersi direttamente al nostro Paese e imporre di non produrre più ortofrutta». Drei considera inoltre irricevibile il fatto che la Ue non preveda «la benché minima reciprocità con i prodotti che sono oggetto di importazione».

Il malessere è generalizzato tra tutte le associazioni agricole. Il presidente della Cia-Agricoltori, Cristiano Fini, ricorda che ad essere penalizzati sono soprattutto i Paesi mediterranei, dove la presenza di colture altamente specializzate è preponderante.

Si teme anche per il comparto mele, uscito brillantemente dalla crisi degli ultimi anni e che, insieme con la filiera dei kiwi, si conferma il più esportato nei primi sei mesi (con un valore di 500 milioni di euro). Secondo Alessandro Dal Piaz, direttore di Apot, Assomela e vice-presidente del gruppo di lavoro ortofrutta del Copa Cogeca, l’adozione del regolamento Ue sottrarrebbe alla produzione, nel solo Trentino, 2mila ettari (il 20% del totale).

«La definizione di zone protette contenuta nella revisione è molto dubbia – aggiunge Dal Piaz –. Quel che è certo è che l’eliminazione dei fitofarmaci, senza valide alternative e a fronte di patologie perennemente in crescita, minerebbe seriamente la produttività. Risultato: meno valore generato, meno aziende operative, più degrado territoriale, più importazione dai paesi extra-Eu (dove le norme e le garanzie sono incontrollabili)».

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