Ortofrutta, varietà speciali utili contro crisi climatica e fitofarmaci
L’Italia è in ritardo nella ricerca di vegetali più resistenti: dal 1995 sono state presentate 1.898 domande, in Olanda 25.388
di Silvia Marzialetti
3' di lettura
Fragole nutraceutiche, uve senza semi, ciliegie apirene: le nuove frontiere del breeding – ossia del miglioramento genetico – promettono prodotti accattivanti per il mercato e varietà in grado di resistere a insetti alieni e condizioni climatiche estreme.
Non c’è dibattito nel mondo dell’ortofrutta in cui ricerca e innovazione varietale non siano indicati come l’unica exit strategy rispetto a una politica europea sempre più stringente dal punto di vista ambientale e proiettata su campi “fitofarmaci free”; eppure la richiesta di privative comunitarie per ritrovati vegetali – uno specifico diritto di proprietà industriale gestito dall’Ufficio europeo delle varietà vegetali, il Cpvo – si mantiene costante da cinque anni in Europa, in flessione dell’8,25% nel 2022. A parte un calo (-17%) nelle rinunce ai diritti registrati, nelle colture agricole e orticole in Europa non si intravede alcuna corsa ai brevetti.
In attesa di una legge annunciata, ma ancora tutta da costruire, sulle Tea – le tecnologie di evoluzione assistita, che rappresentano la frontiera più avanguardistica dell’innovazione varietale – l’Italia lavora sulle metodologie di miglioramento genetico tradizionali (incrocio e selezione delle progenie) ma nonostante il primato agricolo, l’innovazione varietale è al palo: dal 1995 a oggi sono state presentate 1.898 domande, che rendono il nostro Paese quinto in una classifica dominata dall’Olanda (25.388 istanze).
Il riconoscimento del diritto del costitutore attraverso il pagamento di royalty a pianta, a superficie o sul prodotto commercializzato, si conferma la prima condizione per garantire il proseguimento dei progetti di miglioramento genetico, poiché offre ai frutticoltori nuove varietà più produttive, resistenti, resilienti e qualitativamente migliorate, ma richiede tempi lunghi e ingenti risorse finanziarie; il che può rappresentare un freno alle ambizioni delle Pmi, che sono tra gli attori più attivi nella presentazione delle richieste.
«Per i fruttiferi – spiega Stefano Lugli, coordinatore Salone vivaismo e innovazione varietale Macfrut 2023 – servono in media da 10 a 15 anni per completare il processo dall’incrocio fino all’immissione sul mercato. In un progetto di breeding l’investimento può superare i 100mila euro, cui vanno aggiunti i costi di protezione, quelli di certificazione genetico sanitaria e le risorse per lo sviluppo commerciale della varietà. Conti alla mano, creare e diffondere una novità può richiedere 200mila euro e oltre».
Prendiamo le mele, di cui l’Italia è secondo produttore a livello europeo. «Nonostante i tanti marchi di qualità Igp e Dop, il 95% delle varietà sono di provenienza straniera – prosegue Lugli –. Nel mondo sono attivi oltre cento programmi di breeding sulle mele; in Italia cinque e la maggioranza delle nuove varietà è gestita a livello mondiale attraverso la formula esclusiva dei club varietali, prova del fatto che oltre al brevetto occorra investire anche nello sviluppo commerciale e nel marketing». Stesso discorso per le ciliegie, di cui l’Italia vanta il primato di produzione in Europa, insieme con la Spagna: «In Italia erano attivi quattro programmi; è rimasto solo quello dell’Università di Bologna».
Oggi – commenta il presidente del Cpvo, Francesco Mattina – tra le varietà più studiate in Italia spicca senz’altro il settore sementiero, con un giro d’affari da un miliardo, fulcro di importanti investimenti in ricerca e sviluppo. Mais, riso, grano tenero e duro, orzo, patata, girasole i prodotti più gettonati tra le colture; kiwi, clementine, arance, nocciole, uva, pesca, albicocca tra le fruttifere. E attorno a ortive come cipolla, barbabietola, peperone, pomodoro, si vanno concentrando nuovi costitutori provenienti dall’Italia.
Se l’innovazione procede a rilento, dilaga invece a ritmo serrato la pirateria varietale, che è arrivata a produrre danni per 20 milioni di euro l’anno solo in Italia, più una serie di rischi legati alla diffusione incontrollata di varie patologie. «Negli ultimi due anni – racconta l’avvocato Carolina Cordero di Vonzo, dello studio Baker McKenzie – i giudici italiani sono stati investiti da numerosi contenziosi vegetali che coinvolgono breeders e coltivatori, consorzi e autorità di tutela in ogni ambito: dalle rose alla vite, dal pomodoro al frumento, passando per vari tipi di foraggio, mele, kiwi, grano, albicocche e uva senza semi. E non si tratta solo del tribunale di Bari, teatro di scontro per gli acini seedless , ma anche di quelli di Teramo, Bologna, Genova, Venezia e persino Milano, fino a giungere in Cassazione».
Si tratta per lo più di controversie relative alla propagazione e commercializzazione di piante, o alla produzione e vendita di semi, ritenuti illeciti. «Tutte le controversie – prosegue l’avvocato – hanno ad oggetto l’asserita violazione dei diritti del titolare o dei relativi contratti: sono state qualificate dalle Corti come veri e propri reati, punibili con reclusione, multe e misure risarcitorie e le conseguenze non sono solo civili, ma anche penali».
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