Musica

Ottavio Dantone e il Benedetto Marcello ritrovato

Il direttore di Accademia Bizantina raccoglie in un album le musiche per tastiera dell'autore barocco conservate nella Biblioteca Marciana

di Grazia Lissi

2' di lettura

“Dilettante di musica” così Benedetto Marcello firmava le sue partiture, eppure il creativo compositore veneziano (1686-1739) ha lasciato un patrimonio immenso e sorprendente di spartiti, molti ancora da studiare. Ottavio Dantone in “Benedetto Marcello Complete Keyboard Music Il Vol. I Biblioteca Nazionale Marciana”, edito da Concerto Classics, raccoglie in un album le musiche per tastiera dell'autore barocco conservate nella Biblioteca della Laguna.

Prima registrazione mondiale integrale dalle fonti manoscritte all'esecuzione clavicembalistica - solo un brano era stato concepito per organo- un nuovo capitolo per la musica per tastiera italiana ed europea. Ottavio Dantone, clavicembalista, direttore di Accademia Bizantina, da vent'anni affianca all'attività di solista quella di direttore d'orchestra, il suo repertorio spazia dal barocco al periodo classico e romantico. Dalla sua casa in Bourgogne, il Maestro milanese racconta.

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Questa ricerca cosa svela sull'opera di Benedetto Marcello?
«Più che rivelare questa musica deve essere rivelata, come molta musica italiana, a ciò che è scritto bisogna aggiungere, nel rispetto del linguaggio, qualcosa di creativo. Queste Sonate, così come sono sullo spartito, non dicono tutto ciò che vorrebbero, per questo c'è stato bisogno di uno studio accurato sugli avvenimenti, sullo stile italiano e veneziano per integrarle. Per le variazioni è fondamentale la base, la musica deve essere bella, intelligente e queste sonate non deludono».

L'architettura delle Sonate è ampia e varia.
«L'ampiezza di alcuni brani dipende dai ritornelli che non taglio mai, il ritornello è l'occasione per abbellire il materiale. Queste esecuzioni hanno una varietà di abbellimenti, non ci sono ripetizioni, sembra un'unica struttura ma non è mai monocorde, non annoia l'ascoltatore».

Da questi studi sono emerse nuove Cantate.
«Come Scarlatti, Marcello ha scritto un numero spropositato di cantate, mi sono concentrato solo su quelle per contralto, Delphine Galou, mia moglie, lo è. Nelle case patrizie dell'epoca la cantata era in voga, era un modo per rappresentare scene pastorali o amorose. Le cantate di Benedetto Marcello sono state le meno studiate e incise, un altro terreno che affronterò con Accademia Bizantina».

Cosa significa condividere la passione per la musica con una grande artista come Delphine Galou?
«All'inizio soffriva, si sentiva in dovere di dover giustificare la sua presenza, la sua bravura, a ogni concerto diretto da me. Oggi c'è comunione totale, possiamo condividere senza pudore il nostro amore per la musica, mi sono innamorato della purezza della sua voce e poi di lei».

Quali autori hanno contribuito alla sua crescita?
«Bach, l'ho studiato, analizzato tanto, in questi giorni sto rileggendo la produzione compositiva che ho scritto da ragazzo: canoni, esercizi perché volevo immedesimarmi nel suo pensiero. E' stato il mio faro. E poi Haendel, Vivaldi ma amo anche esplorare musica non conosciuta, sto facendo una ricerca sugli oratori del Settecento».

Perché la musica barocca riesce a raggiungere il grande pubblico più di quella scritta in altre epoche?
«In questi anni abbiamo trovato nuove chiavi di lettura, scoperto i codici retorici che ne governano il senso, la musica barocca comunica emozioni, attrae perché è facile e splendida».

Molti gruppi barocchi previlegiano strumenti d'epoca.
«Lo strumento antico è più semplice ma si ottengono risultati ottimi anche con strumenti moderni, nella barocca è importante avere sempre qualcosa da dire, capire l'intenzione di un certo linguaggio».

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