Agricoltura, via libera alla riforma Ue: per l’Italia dote da 34 miliardi (6 in meno)
Il consiglio Ue ha approvato la riforma della Politica agricola comune. L’Italia riceverà 6 miliardi in meno rispetto al periodo 2014-2020
di Giorgio dell'Orefice, Alessio Romeo
I punti chiave
4' di lettura
Più compiti con meno risorse. Potrebbe essere questa la brutale sintesi da trarre riguardo alla complessa riforma della Politica agricola comune 2023-2027, sulla quale è arrivato lunedì il via libera formale dei ministri europei dopo l’accordo politico con l’Europarlamento di venerdì scorso. Una riforma definita dalla ministra portoghese dell’Agricoltura, Maria do Céu Antunes «la più grande riforma del Pac dagli anni ’90». Resta ora solo il passaggio definitivo, non scontato ma altamente probabile, al Parlamento europeo (che ha contribuito, va detto, a migliorare sensibilmente la riforma) per mettere la parola fine a un negoziato durato tre anni e che ha rischiato seriamente di naufragare. La proposta originale risale infatti alla Commissione Juncker, e per trovare l’accordo sono stati necessari due rinvii e un negoziato estenuante sui punti più controversi.
A cominciare dai contestati vincoli ambientali su cui si è consumato l’ultimo braccio di ferro istituzionale.
Agricoltura e rispetto dell’ambiente
Chiamata a dare un contributo decisivo all’attuazione del nuovo Green Deal, l’agricoltura europea dovrà infatti rispettare una serie di nuove norme, che si traducono in pratiche agricole rispettose dell’ambiente alle quali saranno vincolati un quarto degli aiuti europei. Alla fine si è deciso per una quota del 25%, compromesso tra il 30 chiesto dall’Europarlamento e il 20 proposto dal Consiglio. Le pratiche green andranno scelte all’interno di un menu fissato a livello Ue e che i singoli Stati membri dovranno poi declinare nei piani strategici nazionali, cuore e vera sfida della riforma, per garantire una governance ai 350 miliardi assegnati al settore dal bilancio Ue. Dopo anni di tagli il budget agricolo rappresenta ancora il 30% circa del bilancio complessivo Ue, era il 40% nella passata programmazione (2014-20). Era ben oltre il 50% negli anni ’90.
La dote per l’Italia si riduce a 34 miliardi
Per l’Italia, l’accordo vale circa 34 miliardi fino al 2027, che possono arrivare a quasi 50 miliardi considerando il cofinanziamento nazionale dei fondi destinati allo sviluppo rurale. Di fatto, sottolinea il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, un taglio di 6,2 miliardi rispetto alla passata programmazione. Per l’Italia quindi una sforbiciata del 15% in termini reali, più pesante rispetto al taglio medio che nella Ue è stato del 10 per cento.
Nell’attuazione degli ecoschemi, per i primi due anni del nuovo sistema – vale a dire nel 2023 e 2024 – la percentuale potrà scendere di cinque punti (dal previsto 25%), ma sono stati fissati criteri rigidi per l’utilizzo a livello nazionale delle somme non richieste dagli agricoltori. Il 15% del plafond complessivo potrà essere destinato al sostegno di singole produzioni con pagamenti “accoppiati”, legati cioè alle quantità effettivamente prodotte.
Gli Stati membri, inoltre, dovranno varare un pagamento redistributivo a favore delle aziende di minore dimensione, per un ammontare pari almeno al 10% della dotazione complessiva per gli aiuti diretti. L’obiettivo di redistribuzione potrà essere conseguito, in alternativa, facendo ricorso al plafonamento (ovvero fissando un tetto massimo agli aiuti percepibili da una singola impresa) e alla degressività, ovvero un taglio sui pagamenti di maggiore importo (da 85mila a 100mila euro).
Non è passata invece la richiesta del Parlamento europeo che sollecitava un aiuto unico per tutte le imprese a livello nazionale entro il 2026. Le differenze tra gli importi attualmente erogati (la cosiddetta “convergenza interna”) saranno progressivamente ridotte in misura dell’85 per cento. Una misura questa che, in Italia, rischia di penalizzare fortemente la risicoltura e la zootecnia.
Il pilastro sociale: multe a chi non rispetta i contratti
Altra importante novità riguarda l’inserimento di un “terzo pilastro” (accanto ad aiuti diretti e sviluppo rurale) dedicato alla condizionalità sociale della Pac con vincoli ai finanziamenti per le aziende. La condizionalità sociale entrerà in vigore nel 2025, ma gli Stati membri hanno la facoltà di anticipare di due anni l’avvio. In sostanza, saranno multate le imprese che non rispettano i contratti e alcune normative europee sul lavoro.
Grazie al pressing dell’Europarlamento sono state introdotte nel regolamento relativo all’Organizzazione comune dei mercati (uno dei tre di cui si compone la riforma), misure sull’etichettatura del vino che rappresentano un importante traguardo per la trasparenza delle informazioni verso i consumatori fortemente voluto dal settore, così come l’estensione a tutti prodotti Dop e Igp della possibilità di effettuare programmazione della produzione per meglio rispondere, in deroga alle norme Ue sulla concorrenza, alla sempre maggiore volatilità dei mercati. Dal Consiglio Ue di ieri il ministro delle Politiche agricole Stefano Patuanelli ha sottolineato come «i motivi di soddisfazione per il compromesso sulla Pac siano superiori ai punti su cui si potevano trovare soluzioni migliori, soprattutto sul piano della semplificazione e della competitività dell’intero settore agricolo. Ora spetta agli Stati membri e ai produttori agricoli trarre beneficio dalla nuova Pac. Il prossimo passo sarà quello di costruire i piani strategici nazionali (che vanno inviati a Bruxelles entro il 31 dicembre, ndr) che dovranno essere incentrati sulla semplicità: non incrementare la burocrazia rappresenta il valore aggiunto per l’Italia». Patuanelli ha ricordato anche il risultato raggiunto su una richiesta italiana: il sostegno finanziario agli strumenti per la gestione del rischio (ovvero le polizze assicurative) al quale potrà essere dedicata una quota fino al 3% dei pagamenti diretti e dei fondi per lo sviluppo rurale. Un importante passo avanti per un paese come l’Italia nel quale, anche in tempi di profondi cambiamenti climatici, la propensione a stipulare polizze da parte degli agricoltori resta bassa.
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