Padula: «Ridurre il prelievo fiscale sui fondi pensione prima dell’arrivo della concorrenza europea»
Mercoledì l’ultimo tavolo governo-sindacati sulle pensioni. Si parla di previdenza complementare. Il presidente Covip: serve una riforma organica tra primo e secondo pilastro
di Davide Colombo
3' di lettura
Mercoledì 17 febbraio al ministero del Lavoro è convocato l'ultimo tavolo di confronto sulle pensioni, dedicato ai temi della previdenza complementare. In vista di questo appuntamento, cui dovrà seguire entro marzo un confronto politico in cui il Governo Conte 2 deciderà come affrontare il dopo Quota 100, abbiamo chiesto al presidente della Covip, Mario Padula, quali dovrebbero essere i nodi da affrontare per il secondo pilastro pensionistico a oltre venticinque anni dalla riforma.
Presidente Padula, in Italia sono attivi circa 400 fondi pensione, la maggior parte dei quali, circa 250, preesistenti, istituiti cioè prima dell'entrata in vigore della prima legge organica sulla previdenza complementare del 1993 (il decreto legislativo 124). Gli iscritti sono nove milioni, per un patrimonio gestito di 180 miliardi. Il quadro attuale può essere considerato soddisfacente oppure no? Quali interventi correttivi ritiene prioritari?
Nel nostro ordinamento è stata di recente recepita la cosiddetta Direttiva IORP II, che in questi mesi è in corso di attuazione. Contestualmente, si sta affrontando il tema dei PEPP, i prodotti pensionistici europei individuali, il cui Regolamento è stato emanato nel giugno scorso. E' un quadro regolamentare in evoluzione continua, che richiederà nei prossimi mesi
l'adozione di diversi atti regolamentari. E' un'evoluzione comunque positiva, che contribuirà a far fare ai fondi pensione un ulteriore passo avanti in un processo di consolidamento e crescita del sistema. Purtroppo, per le Casse Professionali, di cui pure ci occupiamo, non valgono analoghe considerazioni.
Negli ultimi anni la fiscalità sui rendimenti è salita dal 11 al 20%. In che modo questo livello spiazza i fondi italiani rispetto all'Europa? Si può tornare indietro?
Sì, e per certi aspetti si deve, con l'introduzione dei PEPP all'orizzonte. Si tratterà di prodotti individuali che saranno emessi in paesi in cui i rendimenti non sono tassati e distribuiti in Italia, dove invece la normativa attuale prevede che lo siano.
Ha senso parlare oggi di una nuova operazione di silenzio/assenso per provare a incrementare le adesioni ai fondi pensioni da parte di giovani lavoratori per i quali, contemporaneamente, si parla anche di futura pensione contributiva di garanzia?
Il silenzio/assenso, come altri meccanismi di nudging, è efficace solo se è ben disegnato. E' banale dirlo, ma il rischio di una cattiva architettura delle scelte esiste e non va sottovalutato. In ogni caso, non risolve il problema di chi è ai margini del mercato del lavoro. In questo caso, la questione di inclusione previdenziale è anzitutto una questione di inclusione nel mercato del lavoro. Quale che sia la direzione nella quale si deciderà di andare, è di tutta evidenza come un sistema previdenziale che sia sostenibile dal punto di vista sociale e finanziario deve puntare anzitutto all'inclusione nel mercato del lavoro, con interventi diretti ad accrescere la produttività da cui in ultima analisi dipende la domanda di lavoro.
Lo schema a capitalizzazione e contribuzione definita va aggiornato o va bene così?
Il principio della capitalizzazione può dare un decisivo contributo alla sostenibilità complessiva di un sistema previdenziale che è ancora in gran parte fondato sul principio della ripartizione, specie in un'economia che non cresce dal punto di vista demografico ed economico.
Secondo lei l’istituto del Tfr va mantenuto così com'è o può essere ripensato?
Si può pensare ad ampliare l'ambito di applicazione, per ora confinato ai soli contratti, di meccanismi che prevedano una destinazione anche parziale del Tfr ai fondi pensione. Questo per venire incontro alle esigenze di chi, avendo carriere più instabili, usa il Tfr come ammortizzatore nella transizione tra occupazioni.
In che misura cambiamenti delle regole di pensionamento di primo pilastro incidono sul secondo e terzo pilastro?
E' fondamentale che nell'intervenire sul sistema pensionistico nel suo complesso si segua un approccio organico, che tenga conto delle interrelazioni tra i diversi pilastri pensionistici. Ad esempio, la dimensione della contribuzione alla previdenza complementare dipende anche da quella sul primo pilastro e non si può non tenerne conto dovendo valutare la sostenibilità del sistema nel suo complesso. Un altro esempio è l'età di accesso alle prestazioni: quella della previdenza complementare dipende da quella di primo pilastro. Quindi modificare quest'ultima ha un effetto sugli orizzonti di investimento dei fondi pensione e quindi sulle prestazioni stesse. In generale, l'eccesso di volatilità normativa
nuoce alle decisioni di investimento, in particolare a quelle che richiedono una programmazione stabile sul lungo termine, come gli investimenti alternativi, proprio per la loro illiquidità. È evidente che, in un contesto di diversificazione, questi investimenti sono tanto meno appetibili, quanto più instabili sono gli orizzonti di programmazione.
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