Pagine veramente bestiali
di Carlo Ossola
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Lapidari, erbari, bestiari distribuirono, intorno all’uomo, nel primo millennio cristiano, la “contiguità universale” delle specie create, affinché da esse potesse trarre ammonimenti e lezioni per ben condurre la sua vita di creatura tra le creature e rendere più armonico omaggio al Creatore. Non c’è che un continuo rinvio, di proprietà in proprietà, di gesto in gesto, all’Analogia universale con il Fattore di ogni specie: «La seconda natura [scil. del leone] è che quando dorme tieni gli occhi aperti, a quanto pare. Così anche il nostro Signore con il corpo si addormentò sulla croce e fu sepolto, mentre la sua divinità vegliava, come è detto nel Cantico dei Cantici: “io dormo, e il mio cuore veglia” [Ct. 5, 2], e nel salmo: “ecco non si addormenterà e non prenderà sonno il custode di Israele” [Sal., 120, 4]» (De naturis rerum, anonimo bestiario di Oxford, De tribus principalibus naturis leonis. L’esempio risale al Fisiologo greco, al Fisiologo etiopico, al Fisiologo latino nelle sue molteplici versioni, etc. Notevole la stabilità delle funzioni simboliche, garantite - per la memoria collettiva - dalle miniature che spesso accompagnano i trattati).
I bestiari sono più importanti (dal punto di vista dell’ “analogia sacra”) poiché le specie animali sono contigue all’uomo, e la parola divina stessa volle fregiarsi, nell’attribuzione di simboli ai quattro evangelisti, di possenti figure: il «tetramorfo» (che risale a Ireneo, ma anche a Gerolamo ed altri Padri della Chiesa) infatti contempla: Marco come un leone, Luca come un bue, Giovanni un’aquila, e Matteo un uomo alato. Da questa prima figurazione discendono gli obblighi di “divina contiguità” anche per gli altri animali, reali o fantastici - dalla colomba alla fenice – sì che non solo «coeli» ma anche «animalia omnia» narrant gloriam Dei. Se dovessi indicare il bestiario più articolato, in siffatto programma, non potrei che richiamare l’Aviarium di Ugo di Fouilloy (secolo XI), ove la simbolica ornitologica è espressamente dichiarata come strumento (quale sarà poi in san Francesco) di pedagogia per i semplici: «Ho trovato, o fratello, leggendo la sacra Scrittura, tre colombe grazie alle quali, se si considereranno con attenzione, le anime dei semplici potranno essere ammaestrate alla perfezione: si tratta delle colombe di Noè, di Davide e di Gesù Cristo» (segue la dimostrazione, completata dai paragrafi Moraliter de columba, e Mystice de columba. Tutto è allegorizzato, dai «piedi della colomba» al «colore delle ali», tutto dischiuso alla vita eterna: «poiché, quando la colomba giungerà a quei doni, non avrà più bisogno dell’eloquio della predicazione, ma con quello che riceverà come ricompensa vivrà senza fine nella purezza della perfezione»).
È una sorta di ventaglio delle somiglianze che ci porta insensibilmente ad una vertiginosa reductio ad unum, al libro interamente scritto dalla sovrabbondante generosità divina nel creato e raccolto nello scrigno delle Scritture. Il Physiologus latinus (versio Y) ne è talmente ispirato che non esita ad alternare porzioni di lapidario e di bestiario e tracce di erbario (La pietra agata, L'ostrica e la perla, Il diamante, La scimmia, La pietra indica, La folaga, Il sicomoro, La pantera, Il cetaceo, etc.) pur di esibire, ogni volta, i segnali che riconducono alla “moralità” del credere: «C’è una pietra chiamata indica, che ha questa natura: se uno è idropico, i medici cercano la pietra. Se poi la trovano, la legano all’idropico per tre ore e tutta la bruttura uscirà da lui perché la pietra l’assorbe in se stessa. […] La pietra è nostro Signore Gesù Cristo [At., 4, 11]. Poiché eravamo idropici, avendo nel cuore le acque del diavolo, la pietra del Salvatore discese e fu legata intorno al nostro cuore con la sua carità; poi, risorgendo dai morti, tolse ogni malattia intelligibile della nostra anima, e portò egli stesso le nostre malattie [Is., 53, 4; Mt., 8, 17]». Verrebbe da pensare – ricordando Calandrino e le sue «pietre di Mugnone» - che la sapienza ironica del Boccaccio è proprio quella di conservare gli oggetti simbolici, togliendo loro le antiche proprietà; una straordinaria opera di secolarizzazione (come nell’arsenale di oggetti portentosi sfoderati da frate Cipolla) che conserva l'impronta anche quando rimuove la res.
Siffatta “contiguità universale” viene censita, un’ultima volta, - come ricorda Francesco Zambon nella sua ricca ed elegante Introduzione – nelle «enciclopedie del XII e del XIII secolo»: esse «furono gli ultimi ricettacoli della materia “fisiologica”, ormai quasi irriconoscibile in mezzo all’enorme massa di notizie sugli animali che vi sono raccolte». Il sacro cede al fantastico, come ebbe a ricordare Jurgis Baltrušaitis nel suo Moyen Âge fantastique. Antiquité et exotismes dans l’art gothique (1955); i moralia si mescolano ai mirabilia di Solino. In autori quali Aldelmo di Malmesbury (nel suo Liber monstrorum) arpie ed Eumenidi del mito greco s’intrecciano a giganti e alle belve marine (che nutriranno l'immaginario occidentale sino a Olao Magno in pieno Cinquecento): qui la moralità scompare (come nella descrizione del leone) e rimane solo l’aspetto terrifico, horribilis. Nondimeno questa «grande catena dell’essere» non si rompe e tornerà a vigoreggiare nella nascita e nel trionfo, tra Cinquecento e Seicento, degli emblemi e delle imprese, laico progetto di terrena gloria, di umane virtù, e vani conati, sotto un cielo più incerto, in cui volteggiano passeri senza meta: «Incerta sede vagantur» (Joachim Camerarius, Symbolorum et emblematum ex volatilibus et insectis desumtorum centuria tertia, 1596).
In fondo, potremmo concludere, il paradigma delle contiguità universali ha retto sin quando, con i Lumi e l’Éncyclopédie, non si è imposto quello delle “definizioni”: «Colombe. S.f. Voyez Pigeon […] Voyez l’Histoire naturelle des oiseaux, gravée par Albin et l’Ornithologie de Willughby». Tutto il resto non sarà che mitologia : «Colombe (Mythologie), c’est l’oiseau de Vénus; […] Jupiter fut nourri par des colombes: fable dont l’origine ressemble à celle de beaucoup d’autres»; certo, ma perché «El bestiaire a mult a dire», ancor oggi (Guillaume Le Clerc, Li bestiaires devins, «De l’heriçon»).
Bestiari tardoantichi e medievali. I testi fondamentali della zoologia sacra cristiana (testi originali a fronte), a cura di Francesco Zambon, Milano, Bompiani, pagg. 2.464, € 50
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