Palmieri, la fabbrica di comunità che sfida i colossi e batte la crisi
Leader mondiale nella progettazione e costruzione di attrezzature da taglio per scavare tunnel. Il fondatore Silvano Palmieri: «Dal Bosforo ad Hong Kong, esportiamo il 90% della tecnologia»
di Ilaria Vesentini
4' di lettura
Alle 8 di sabato mattina è lui ad aprire le porte dello stabilimento, mimetizzato tra i profili dell’Appenino bolognese. «Di solito il sabato lo dedico a parlare con i miei dipendenti, siamo tutti qui della zona, i miei ragazzi arrivano dall’istituto tecnico di Porretta Terme e me li cresco in azienda, non siamo attrattivi per i manager internazionali», racconta Silvano Palmieri, che ha dato vita 50 anni fa a pochi chilometri da Gaggio Montano, con in tasca il titolo della scuola di avviamento, a uno dei quei miracoli aziendali all’emiliana difficili da far digerire ai soloni dei master Mba. Perché il gruppo Palmieri è diventato leader mondiale nella progettazione e costruzione di attrezzature di taglio per scavare tunnel e pozzi minerari – tra cui le mastodontiche teste fresanti delle Tbm, le macchine di perforazione - ed è passato da 7 operai di un'officina a una squadra di 250 persone che battono la concorrenza tedesca, americana e giapponese armato di poca teoria, zero finanza ma infinita passione e competenza per il prodotto.
«Io capisco la meccanica e i numeri, la grammatica non è il mio pane e non so una parola di inglese, ma ho girato cinque continenti, esporto quasi il 90% delle mie tecnologie e quando nel mondo c’è un problema nel perforare una roccia, i luminari di ingegneria arrivano qui da me a Silla, e io qui ho solo un paio di ingegneri, l’80% sono periti», sorride Palmieri, che la “fabbrica di comunità” la dà per scontata perché non conosce alternative e i principi dietro agli slogan Esg della sostenibilità li rispetta da sempre, senza neppure rendersene conto. Perché nei 250mila metri quadrati di aree industriali sui declivi dell'Appennino si costruiscono macchine e strumenti fatti per durare decenni, con il migliore acciaio e l’elettronica dei numeri uno globali (Siemens, Schneider), l’intero processo produttivo è internalizzato - progetto, forgiatura, stampaggio, carpenteria, lavorazioni meccaniche, assemblaggio, verniciatura, collaudo - per garantire e certificare la qualità di ogni punta o giuntura. «Vede questa - Palmieri indica una macchina per il consolidamento e la rigenerazione di gallerie ferroviarie della Ceprini Costruzioni – ha 25 anni di vita, stiamo facendole manutenzione e durerà altri dieci anni almeno». Fuori dal capannone, un ex stabilimento Gaggia-Philips che Palmieri ha rilevato qualche anno fa, si sente il canto del gallo e a fianco c'è un caseificio.
Sulle pareti dell’ingresso è pieno di foto di squadre sportive di ragazzini con la maglia Palmieri group, lo sponsor per tutti.
«Siamo gente semplice noi, viviamo in un castagneto, mia moglie (che è presidente della cassaforte del gruppo, ndr) produce farina di castagne e le mie vacanze preferisco farle qui in montagna con i miei amici a giocare a carte». Palmieri lo dice con la consapevolezza di chi ha lavorato dal canale del Bosforo a quello di Panama, dalla galleria del Gottardo ai tunnel sottomarini a Hong Kong, collezionando premi per imprese impossibili, come quella con Webuild per ripulire il fiume Riachuelo, dove è riuscito a perforare in verticale e dall'interno gli ultimi 3 km di un tunnel idraulico largo 5 metri e lungo 12 km per facilitare lo scarico delle acque reflue a mare in uno dei bacini più inquinati del pianeta.
Il know-how di Palmieri nelle teste fresanti e negli utensili da taglio (ha oltre 5mila modelli di punte circolari e sagomate in grado di frantumare senza esplosivi le rocce più ostinate) non nasce sui libri ma dal lavoro sul campo, iniziato nel 1971 quando il prete del paese lo aiutò a lavorare per la Seli di Roma, che era lì sul Brasimone a costruire il primo tunnel automatizzato per la centrale di pompaggio. «Di giorno costruivo pezzi per loro e di notte lavoravo nel tunnel - racconta - e ho imparato tutto su assali, locomotori, vagoni e utensili da taglio, prodotti che costruisco ancora oggi».
Un sapere che ha trasmesso ai due figli e al nipote più grande, con lui in azienda, e ha travasato in tutte le innovazioni, come l’ultima macchina brevettata per il riciclo dei rifiuti, Pass-Palmieri Advanced splitting system, che pre-tritura, separa prima le parti ferrose con un magnete e poi le altre parti solide e infine produce un percolato pronto per diventare biogas. «È un impianto che fa il lavoro di tre macchine insieme, occupa pochissimo spazio e con un milione di euro si riescono a trattare 200 tonnellate di rifiuti al giorno. Eppure ne ho venduti solo due e ne ho altri due fermi in magazzino. Credo che il problema sia che sono troppo efficienti, nel business del riciclo girano troppi soldi per puntare a ridurre i costi. A me piacciono i pezzi di ferro non i soldi – conclude - e infatti investo ogni anno almeno il 5% del fatturato in nuove tecnologie: quelle che ho io qui ce le ha solo Ferrari a Maranello, potrei costruire i loro motori».
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