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Paolini: sessant’anni di carriera in mostra e una donazione al Castello di Rivoli

La personale nel museo e il dono dell’opera «Le Chef-d'oeuvre inconnu» che intitola l’esposizione per l’ottantesimo compleanno dell’artista

di Sara Dolfi Agostini

Le Chef-d'oeuvre inconnu, 2020 - L'opera è ispirata a Disegno geometrico, 1960. L'intero ambiente espositivo è una versione tridimensionale, amplificata e percorribile della stessa opera e delle infinite possibilità a cui essa rimanda. - Courtesy Castello di Rivoli

5' di lettura

Il Castello di Rivoli celebra l'ottantesimo compleanno di Giulio Paolini (Genova, 1940) con una mostra personale, occasione per una donazione al museo e omaggio alla sua lunga carriera, iniziata a vent'anni con l'opera «Disegno geometrico» (1960). Un artista che in molti non esitano a chiamare “maestro”; protagonista della prima ora della guerriglia dell'Arte Povera teorizzata nel 1967 da Germano Celant, pur avendo sempre ribadito un'autonomia inscritta in un'affinità di pensiero e amicizia.

Giulio Paolini - Courtesy Fondazione Giulio e Anna Paolini, Torino - Foto / Photo © Luciano Romano, Napoli

La mostra

Intitolata «Le Chef-d'oeuvre inconnu» dal celebre racconto di Honoré de Balzac del 1831 e curata da Marcella Beccaria, la mostra inaugura il 15 ottobre ed è visitabile fino al 31 gennaio 2021, dal giovedì alla domenica nel rispetto del protocollo sanitario contro il Covid-19. Il progetto espositivo rilegge 60 anni di produzione artistica scegliendo lo sguardo retrospettivo come criterio guida, proprio in virtù del suo ruolo fondamentale nella metodologia di Paolini. Un artista per cui il passato coesiste con il presente e che ha spesso definito l'intero suo lavoro come un infinito di ipotesi linguistiche e formali dell'arte a partire da un'idea originaria, l'opera «Disegno geometrico» (1960), e un accordo di varie tecniche artistiche, dalla fotografia alla scultura, dall'installazione al disegno. In tre sale del Castello, frammenti e ritagli di libri conservati nello studio di Paolini prendono vita in composizioni rigorose, offerte al visitatore per nuclei tematici. Non mancano scelte curatoriali allusive, come l'opera «Omega» (1948-2018), che include rari dettagli biografici di un artista che ha addirittura precorso Roland Barthes e Michel Foucault nell'asserire la sparizione dell'autore.

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Castello di Rivoli: un compleanno e un dono da Giulio Paolini

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La donazione

Ma è l'opera che dà il titolo alla mostra, «Le Chef-d'oeuvre inconnu» (2020) a imporsi, anche in virtù della decisione dell'artista di donarla al Castello di Rivoli. Un museo che ha accompagnato l'artista durante tutta la sua carriera, a partire dalla prima mostra personale nel 1986, due anni dopo l'inaugurazione; che possiede 12 suoi lavori – dal 1964 al 2008, alcuni in comodato d'uso – e, soprattutto, che durante la direzione di Ida Gianelli scelse tempestivamente di collaborare al primo catalogo ragionato di Paolini, strumento fondamentale per il collezionismo, uscito nel 2008 per i tipi di Skira . L'opera oggetto della donazione la racconta Paolini stesso: “L'intera superficie della sala accoglie, al suolo, il tracciato virtuale e amplificato del mio primo (e ultimo) quadro, Disegno geometrico, alcune varianti dell'opera e nove cavalletti di cui uno al centro, l'unico senza teche e frammenti di figure” spiega, e aggiunge: “quel cavalletto è come in “attesa” di un elemento sospeso in alto, fine (o inizio) di un istante incompiuto”. Alla domanda del perché proprio nove cavalletti, risponde: “Nove sono anche i punti di incrocio della squadratura originaria, come nove sono le lettere che compongono il nome di Mnemosine, madre delle nove Muse, dotata del codice segreto che annuncia e rivela la “verità” dell'opera.” Un'opera paradigmatica della poetica di Paolini, un tentativo – ennesimo – di evocare l'immagine assoluta cui si dedica da sempre l'artista.

Il mercato

Giulio Paolini è Officier des Arts et des Lettres (2002) e ha avuto oltre 200 mostre personali nella sua carriera artistica, oltre a partecipazioni a Documenta di Kassel (1972, 1977) e alla Biennale di Venezia (1970, 1976, 1978); anche nel Padiglione Italia con la direzione di Bartolomeo Pietromarchi nel 2013. Già allora si provò a celebrare la carriera dell'artista, invano. “Non si poteva festeggiare senza il de cuius, l'avente causa” racconta uno dei suoi galleristi, Massimo Minini , che spinse i colleghi a farsi da parte nonostante l'importante palcoscenico internazionale: “Se è fuori l'autore, fuori anche i mercanti!”. Minini ha imparato a conoscere bene il carattere schivo di Paolini, il suo elegante distacco. “Abbiamo iniziato a lavorare insieme nel 1973 – l'occasione fu la mostra collettiva di Natale – e ho ospitato in galleria sei mostre personali” racconta. Ai tempi il collezionismo era prevalentemente europeo, ma già dal 1974 il MoMA di New York espose le sue opere e lo conobbero anche in America. All'asta il suo lavoro è passato 618 volte – poco più di Mario Merz (il cui top price, una testa di cervo tassidermizzata e neon, «Untitled» del 1982, è di 1.742.960 dollari aggiudicata nel 2014 a Londra), ma meno di Jannis Kounellis (il suo top price è «Untitled» del 1968, metallo, iuta e lana, aggiudicato nel 2014 sempre a Londra per 2.072.287 dollari) e Alighiero Boetti (top price è «Colonna» del 1968 scambiato per 3.910.215 dollari ancora a Londra nel 2014), facendo un raffronto con gli altri esponenti dell'Arte Povera – e il record è di 629.000 dollari (dalla stima 80.000 - 120.000 $) per l'opera acrilico e matita su tela «Indice delle opere inscritto in un motivo decorativo» del 1972 battuta da Christie’s New York l’11 novembre 2015. Il prezzo dei lavori in galleria è da 15mila euro in su per le opere di dimensioni più piccole, e i collezionisti non mancano mai, di ogni generazione. “Paolini è un artista erudito, conoscitore, perla rara al giorno d'oggi” dice Minini, e continua: “Paolini è ormai un classico, un libro che abbiamo letto da giovani, a scuola; oppure, un libro che non abbiamo ancora letto, riservandoci di farlo in tempi più maturi; un classico è un libro di cui diciamo «Sto rileggendo» perché ci vergogniamo di ammettere che non l'abbiamo mai letto”.

Il rapporto con il mondo dell'arte

Ed è ai classici che si chiedono consigli e raccomandazioni, adesso che gli artisti sono sempre più imprenditori di se stessi, che gli autori parlano più delle loro opere. “C'è un frastuono insopportabile nel mondo di oggi, e non posso che confidarle un mio certo desiderio di “ritiro sociale”, che mi consenta di trovare riparo” afferma l'artista. Una decisione netta, che spiega così: “Credo che siamo arrivati a un punto limite, siamo stati capaci di guastare la festa, di trascinare il mondo eletto dell'arte nel gorgo infetto della comunicazione e dei consumi.” Dunque, come reagire al diktat del mercato e al rumore assordante della società, per non farsi sopraffare? “Non voglio negare la “necessità” di quanto inevitabilmente accade” riprende, e continua: “occorre, come sempre, moderare i termini: non passare da una parte all'altra, considerare insomma che siamo fatti così, e che la comprensione degli opposti è la regola che prima o poi si afferma in ogni contesa.” Per questo che ancor di più oggi, forse, percepiamo nel suo lavoro l'essenza imprescindibile dell'esperienza estetica, un progetto catartico per rimettersi in contatto con la storia dell'arte, capace di fornire gli strumenti per pensare l'arte in un presente che disorienta, confonde e lascia spesso vuoti. E Il Castello di Rivoli adesso ha un'occasione in più per raccontarlo, con «Le Chef-d'oeuvre inconnu» (2020), un'opera testamento – o meglio traccia - di un progetto iniziato 60 anni fa e ancora oggi in costante divenire.

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