Papa: armi all’Ucraina, «difendersi è non solo lecito ma amore di Patria»
Francesco sull'aereo di ritorno dal viaggio in Kazakhstan dialoga con i giornalisti. «La politica italiana non la capisco…»
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Armi all'Ucraina, politica italiana, rapporti della Santa Sede con la Cina. Papa Francesco sull'aereo di ritorno dal viaggio in Kazakhstan dialoga con i giornalisti. Di seguito un'ampia sintesi dell'intervista collettiva, secondo quanto riporta Vatican News.
Santo Padre, Secondo lei in questo momento bisogna dare le armi all'Ucraina?
«Questa è una decisione politica, che può essere morale, moralmente accettata, se si fa secondo le condizioni di moralità, che sono tante e poi possiamo parlarne. Ma può essere immorale se si fa con l'intenzione di provocare più guerra o di vendere le armi o di scartare quelle armi che a me non servono più. La motivazione è quella che in gran parte qualifica la moralità di questo atto. Difendersi è non solo lecito, ma anche una espressione di amore alla Patria. Chi non si difende, chi non difende qualcosa, non la ama, invece chi difende, ama. Qui si tocca un'altra cosa che io ho detto in uno dei miei discorsi, e cioè che si dovrebbe riflettere più ancora sul concetto di guerra giusta. Perché tutti parlano di pace oggi: da tanti anni, da settant'anni le Nazioni Unite parlano di pace, fanno tanti discorsi di pace. Ma in questo momento quante guerre sono in corso? Quella che lei ha menzionato, Ucraina-Russia, adesso Azerbaijan e Armenia che si è fermata un po' perché la Russia è uscita come garante, garante di pace qui e fa la guerra lì... Poi c'è la Siria, dieci anni di guerra, che cosa succede lì che non si ferma? Quali interessi muovono queste cose? Poi c'è il Corno d'Africa, poi il nord del Mozambico o l'Eritrea e una parte dell'Etiopia, poi il Myanmar con questo popolo sofferente che io amo tanto, il popolo Rohingya che gira, gira e gira come uno zingaro e non trova pace. Ma siamo in guerra mondiale, per favore...! (…) Poi c'è la fabbrica delle armi. Questo è un negozio assassino. Qualcuno che capisce le statistiche mi diceva che se si smettesse per un anno di fare le armi si risolverebbe tutta la fame nel mondo… Non so se è vero o no. Ma fame, educazione… niente, non si può perché si devono fare le armi.
Ha detto: non possiamo mai giustificare la violenza. Tutto quello che succede in Ucraina adesso è la pura violenza, morte, la distruzione totale da parte della Russia. C’è una linea rossa oltre la quale non si dovrebbe dire: siamo aperti al dialogo con Mosca.
«Credo che sia sempre difficile capire il dialogo con gli Stati che hanno incominciato la guerra, e sembra che il primo passo è stato da lì, da quella parte. È difficile ma non dobbiamo scartarlo, dobbiamo dare l'opportunità del dialogo a tutti, a tutti! Perché sempre c’è la possibilità che nel dialogo si possano cambiare le cose, e anche offrire un altro punto di vista, un altro punto di considerazione. Io non escludo il dialogo con qualsiasi potenza, che sia in guerra, che sia l'aggressore… delle volte il dialogo si deve fare così, ma si deve fare, “puzza” ma si deve fare. Sempre un passo avanti, la mano tesa, sempre! Perché al contrario chiudiamo l'unica porta ragionevole per la pace. Delle volte non accettano il dialogo: peccato! Ma il dialogo va fatto sempre, almeno offerto, e questo fa bene a chi lo offre; fa respirare».
Tra pochi giorni in Italia si fa un esercizio democratico, si vota, e ci sarà un nuovo governo. Quando lei incontrerà il prossimo presidente del Consiglio o la prossima presidentessa del Consiglio, che cosa consiglierà? Quali sono a suo avviso le priorità per l'Italia, quali le Sue preoccupazioni, quali i rischi da evitare?
«Ho conosciuto due Presidenti italiani, di altissimo livello: Napolitano e l'attuale. Grandi. Poi gli altri politici non li conosco. Nell'ultimo viaggio ho domandato a uno dei miei segretari quanti governi ha avuto l'Italia in questo secolo: venti. Non so spiegarlo. Non condanno né critico, non so spiegarlo, semplicemente. Se i governi si cambiano così, sono tante le domande da fare. Perché oggi essere politico, un grande politico, è una strada difficile. Un politico che si mette in gioco per i valori della patria, i grandi valori, e non si mette in gioco per interessi, la poltrona, gli agi... I Paesi, tra loro l'Italia, devono cercare dei grandi politici, coloro che hanno la capacità di fare politica, che è un'arte. È una vocazione nobile la politica. Credo che uno dei Papi, non so se Pio XII o san Paolo VI, ha detto che la politica è una delle forme più alte di carità. Dobbiamo lottare per aiutare i nostri politici a mantenere il livello dell'alta politica, non la politica di basso livello che non aiuta per niente, e anzi tira giù lo Stato, si impoverisce. Oggi la politica nei Paesi d'Europa dovrebbe prendere in mano il problema, per esempio, dell'inverno demografico, il problema dello sviluppo industriale, dello sviluppo naturale, il problema dei migranti... La politica dovrebbe affrontare i problemi sul serio per andare avanti. Sto parlando della politica in generale. La politica italiana non la capisco: soltanto quel dato dei venti governi in vent'anni, un po' strano, ma ognuno ha il proprio modo di ballare il tango… si può ballare in un modo o in un altro e la politica si balla in un modo o in un altro. L'Europa deve ricevere esperienze di altre parti, alcune andranno meglio, altre non serviranno. Ma dev'essere aperta, ogni continente deve essere aperto all'esperienza di altri»
Ha parlato dell'importanza della libertà religiosa, come sa lo stesso giorno è arrivato in città anche il presidente della Cina dove da tanto tempo ci sono grandi preoccupazioni su questo tema, soprattutto ora con il processo che sta andando avanti contro il cardinale Zen. Lei considera il processo contro di lui una violazione della libertà religiosa?
«Per capire la Cina ci vuole un secolo, e noi non viviamo un secolo. La mentalità cinese è una mentalità ricca e quando si ammala un po', perde la ricchezza, è capace di fare degli sbagli. Per capire noi abbiamo scelto la via del dialogo, aperti al dialogo. C'è una commissione bilaterale vaticano-cinese che sta andando bene, lentamente, perché il ritmo cinese è lento, loro hanno un'eternità per andare avanti: è un popolo di una pazienza infinita. Dalle esperienze avute prima: pensiamo ai missionari italiani che sono andati lì e che sono stati rispettati come scienziati; pensiamo anche oggi, tanti sacerdoti o gente credente che è stata chiamata dall'università cinese perché questo dà valore alla cultura. Non è facile capire la mentalità cinese, ma va rispettata, io rispetto sempre. E qui in Vaticano c'è una commissione di dialogo che sta andando bene, la presiede il cardinale Parolin e lui in questo momento è l'uomo che più conosce della Cina e il dialogo cinese. È una cosa lenta, ma sempre si fanno passi avanti. Qualificare la Cina come antidemocratica io non me la sento, perché è un Paese così complesso… si è vero che ci sono cose che a noi sembrano non essere democratiche, quello è vero. Il cardinale Zen andrà a giudizio in questi giorni, credo. E lui dice quello che sente, e si vede che ci sono delle limitazioni lì. Più che qualificare, perché è difficile, e io non me la sento di qualificare, sono impressioni, cerco di appoggiare la via del dialogo. Poi nel dialogo si chiariscono tante cose e non solo della Chiesa, anche di altri settori per esempio l'estensione della Cina, i governatori delle province sono tutti diversi, ci sono culture diverse dentro la Cina, è un gigante, capire la Cina è una cosa gigante. Ma non bisogna perdere la pazienza, ci vuole eh, ci vuole tanto, ma dobbiamo andare con il dialogo, io cerco di astenermi di qualificarla… ma andiamo avanti»
E Xi Jinping?
«Lui aveva la visita di Stato lì, ma io non l'ho visto».
Dopo questo viaggio potrà riprendere quello in Africa che ha rimandato, e se ci sono in programma altri viaggi.
«Per quanto riguarda i viaggi: è difficoltoso. Il ginocchio ancora non è guarito. È difficoltoso, ma il prossimo lo farò (il riferimento è a un progetto di viaggio in Bahrein per il prossimo novembre, ndr). Poi ho parlato l'altro giorno con monsignor Welby (primate anglicano arcivescovo di Canterbury, ndr) e abbiamo visto come possibilità febbraio per andare in Sud Sudan. E se vado in Sud Sudan vado anche in Congo. Stiamo tentando. Dobbiamo andare tutti e tre insieme: il capo della Chiesa di Scozia, monsignor Welby e io. Abbiamo fatto un incontro via zoom l'altro giorno su questo…»
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