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Il paradigma nuovo della sanità in Italia

di Giorgio Moretti *

(Sergey Ryzhov - stock.adobe.com)

3' di lettura

La storia del ICT in sanità in Italia negli ultimi venti anni ha seguito un percorso a bassa intensità di pensiero, funzionale e tecnologico. E se ne vedono gli effetti: l'Italia è stabilmente ultima in Europa per percentuale di spesa in ICT rispetto al PIL in sanità. Ma è solo la punta dell'iceberg.

La mancanza di cultura sul potenziale delle tecnologie in sanità e sull'evoluzione dei processi clinici ha generato una stasi di pensiero, appunto. La conseguenza più sconfortante è infatti la mancanza di un adeguato ripensamento, doveroso ed urgente, strutturale e capillare, del modo di erogare e gestire la sanità.

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Oggi ci troviamo all'inizio di un ciclo che potrebbe trasformare l'intero sistema sanitario, non solo l'ICT in sanità. Ma per cogliere questa opportunità bisogna operare con un pensiero esteso, strutturale e consistente. Ciò che è da evitare è un approccio a questa fase con le stesse dinamiche del passato. Abbiamo paradossalmente l'occasione di attingere a finanziamenti prima impensabili, ma non abbiamo ancora assimilato le moltissime novità normative e di contesto. La più eclatante è la “trasformazione” del software in ambito clinico in medical device, frutto dell'entrata definitiva in vigore a maggio 2022 di tutta normativa CE-MDR anche nell'ambito dei software di laboratorio.

Questa normativa pone una serie di problemi e di questioni a cui bisogna fare attenzione.

Già applicata da molti anni per quel che riguarda la diagnostica per immagini, rappresenta un cambiamento sostanziale per i software che sono alla base delle cosiddette cartelle cliniche elettroniche ma soprattutto di tutti i sistemi di prescrizione e gestione della terapia. Comprare, gestire ed usare un software clinico come un elettrocardiografo o una tac, rispondendo alla nuova normativa e alle necessarie certificazioni, comporta un adeguamento indispensabile dei tempi, dei cicli di produzione e delle dinamiche di mercato.

Produrre un software MDR, certificarlo (e tutti questi software dovranno essere certificati, in classe 2a o 2b)-e permettergli di evolvere comporta infatti un livello di complessità elevatissimo non confrontabile con quanto è stato fatto fino ad oggi. I cicli produttivi-certificativi sono regolati ed ispezionati da soggetti terzi a loro volta certificati – che peraltro sono molto pochi fino ad oggi, implicando un ritardo nel rilascio dei certificati o il rischio di uscire dal mercato per alcuni prodotti che restano “in attesa” di tale documentazione. La motivazione alla base di questa rivoluzione è che il software clinico e diagnostico deve ridurre il rischio clinico in tutte le sue declinazioni come accade, in maniera più semplice, per i dispositivi medici ma, essendo questi oggetti sempre più sofisticati, articolati ed estesi nelle funzionalità di calcolo e supporto alle decisioni, essi richiedono enormi investimenti e competenze estremamente complesse da sviluppare. La natura stessa del software clinico che evolve costantemente impone al fornitore di produrre prodotti con cicli di certificazione continue, ad esempio.

Ma avere software affidabili, certificati e di sempre maggior supporto per i medici in termini operativi costituisce anche un modo per scaricarli di molte responsabilità finora a loro carico, aprendo naturalmente a ambiti di responsabilità che gravano sul compratore e sull'utilizzatore ed incrociano sia responsabilità in ambito amministrativo che penali che civili.

Insomma, un impatto benefico per l'intero sistema sanitario che, grazie al PNRR, ha una minima dotazione finanziaria per avviare un percorso di adeguamento a tali norme. Tale percorso non sarebbe stato immaginabile senza il finanziamento iniziale con i fondi del PNRR ma è evidente che non si tratta esclusivamente di una questione finanziaria. Il nuovo approccio dovrà diventare regola, non limitarsi ad essere azione straordinaria. Solo così si riuscirà a centrare l'obiettivo di portare l'Italia agli standard europei di spesa in ICT sul PIL sanitario. Insomma, possiamo iniziare questo percorso confidenti che i risultati prodotti da questi strumenti avranno un impatto certo sulla qualità della cura a beneficio dei pazienti ma anche un grande impatto sulla organizzazione sanitaria che troverà grandi ottimizzazioni facendo sì che i maggior denari che strutturalmente spenderemo in questi strumenti porteranno a minor costi a parità di attività svolte e libereranno risorse per il finanziamento del SSN che fino ad oggi non ha mai realmente beneficiato della trasformazione digitale delle attività clinico sanitarie. Tutto ciò a ben vedere potrà costituire anche un terreno di confronto e di crescita non solo per le grandi realtà ma anche per le PMI che animano il tessuto produttivo italiano. Il cambio di paradigma unita alla dotazione finanziaria adeguata possono fare davvero la differenza e permetterci di creare un SSN più equo, inclusivo e partecipato.
* Presidente di Dedalus

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