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«Il Parlamento raggiunge una tappa storica: con il solo voto contrario di Pd e Leu è stata approvata in seconda lettura la più consistente riduzione del numero di deputati e senatori mai presentata». Il ministro pentastellato Riccardo Fraccaro ha ragione a esultare per aver portato a casa, prima delle importanti elezioni europee del 26 maggio, la riforma-simbolo del M5s che riduce drasticamente il numero dei parlamentari: da 630 a 400 alla Camera e da 315 a 200 al Senato.
Certo, si tratta solo del primo giro di boa: in quanto modifica costituzionale occorre ora una pausa di almeno tre mesi prima di una seconda lettura sia da parte del Senato che della Camera. Ma la seconda lettura sarà senza possibilità di modifiche e senza possibilità di voti segreti: tecnicamente la riforma è già stata approvata, a meno di una crisi di governo in estate o in autunno e di conseguenti elezioni politiche anticipate.
La bandiera di una riforma ritenuta estremamente popolare in questi tempi di antipolitica è senz’altro del M5s, ma anche la Lega se ne è appropriata a fini elettorali («è una misura di buon senso», si sono affrettati a commentare i relatori del Carroccio Alberto Stefano e Igor Iezzi) e perfino Forza Italia ha votato a favore pur dopo aver espresso in Aula più di una perplessità. Alla fine a caricarsi l’impopolare “no” sono stati solo i parlamentari del Pd, di Più Europa e di Leu. Eppure l’impressione del cronista parlamentare che ha seguito il dibattito è quella di una sottovalutazione del tema, come se la maggioranza dei parlamentari fosse intenta appunto a piantare la bandiera in vista delle europee o a non contrastare una riforma molto popolare con il retropensiero che non si arriverà davvero al via libera definitivo.
La domanda da porsi è: il taglio del numero dei parlamentari che tipo di utilità ha? È in grado di migliorare la qualità e l’efficienza del dibattito parlamentare e dell’iter di approvazione delle leggi? Perché il risparmio che si prevede (500 milioni a legislatura secondo la maggioranza proponente, ma che secondo alcuni studi tecnici potrebbero essere anche meno) non giustifica un intervento così pesante sulla rappresentanza democratica del nostro Paese.
La maggior parte dei costituzionalisti auditi in commissione durante l’iter della riforma hanno sottolineato tutti questo punto, condiviso anche Pd e Più Europa: ridurre il numero dei parlamentari senza superare il bicameralismo paritario non migliorerà di per sé l’efficienza dell’iter legislativo e il funzionamento delle Camere. E va considerato che i nostri parlamentari hanno anche il “potere” di eleggere il presidendente della Repubblica e altre figure di garanzia come i giudici costituzionali.
Si rischia insomma di ridurre solo la rappresentanza, con la conseguenza per altro di impattare sui regolamenti parlamentari e sul lavoro delle commissioni: con 345 parlamentari in meno e l’attuale composizione i partiti minori non potrebbero essere rappresentati. In molti hanno dunque proposto un taglio più circoscritto e meno invasivo - 500 deputati e 250 senatori - anche in considerazione del fatto che il numero dei nostri eletti è pari a quello della Gran Bretagna e di poco superiore a quello di Francia e Germania.
Un’altra conseguenza diretta della riforma è l’adeguamento dei già grandi collegi elettorali previsti dall’attuale legge elettorale, il Rosatellum, con la conseguenza che si avranno dei collegi enormi che aumenteranno le spese elettorali dei candidati e allargheranno la distanza “fisica” tra eletto ed elettori. E dal momento in cui si riduce di conseguenza anche il numero dei parlamentari all’estero si arriva al paradosso che un eletto possa rappresentare un collegio pluricontinentale.
C’è poi un altro tema non di secondo piano messo in rilievo da alcuni degli auditi, tra cui l’ex presidente dell’associazione dei costituzionalisti italiani Massimo Luciani: «Il “combinato” disposto della drastica riduzione del numero degli eletti con l’altra riforma messa in campo dalla maggioranza, ossia l’introduzione del referendum propositivo che trasforma il corpo elettorale in legislatore diretto, rischia di trasformarsi in una riduzione di fatto del ruolo del Parlamento».
Come tutte le volte che si ritocca la Costituzione, concepita dai nostri padri costituenti come un unicum strettamente connesso, le conseguenze sono molteplici e non sempre prevedibili al momento in cui si vara la riforma. Piantata la bandiera e superato questo momento di campagna elettorale continua, insomma, un sovrappiù di riflessione sarebbe doveroso da parte di chi ci rappresenta.
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