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Parmalat, dopo l’addio alla Borsa Lactalis adesso smonta il gruppo

di Simone Filippetti

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2' di lettura

I francesi di Lactalis si preparano a smantellare Parmalat. Prima l’addio a Piazza Affari, e poi una riorganizzazione che fa traslocare tutti i paesi del gruppo, Italia inclusa, sotto l’ombrello della Francia. Di fatto il più grande gruppo alimentare italiano non sarà più manovrato da Collecchio, ma direttamente da Laval, la cittadina agricola dove la famiglia Besnier gestisce il suo impero.

È la mossa finale della multinazionale del latte, che forse attende da otto anni questo passo definitivo: prendere in mano del tutto le redini di Parmalat che perderà così la sua formale indipendenza. Subito dopo le festività, la mattina del 9 gennaio, i circa mille dipendenti del gruppo italiano si sono trovati nella loro casella di posta elettronica una nota di servizio. In un tono asettico, si informa che in vista dell’imminente delisting di Parmalat, Lactalis vara una riorganizzazione mondiale.

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Nascono 9 divisioni, di cui tre di prodotto (Formaggi, ingredienti e prodotti freschi), cinque geografiche e una dedicata all’export. Tutte saranno gestite da manager francesi, uomini di fiducia di Besnier, e faranno capo a Lactalis. Senza dirlo esplicitamente, la funzione strategica di supervisione,il cervello del gruppo Parmalat, di fatto scompare. Una decisione legittima. Ma questa nuova fisionomia di fatto cancella la funzione corporate del quartier generale di Collecchio, mentre le società operative dei singoli paesi confluiscono in aree geografiche sotto le dipendenze dirette della casa madre.

La medesima Parmalat Italia viene accorpata a Lactalis Italia, la società dei francesi che a oggi gestiva gli altri asset del gruppo nel paese, in primis Galbani, la storica azienda lombarda di latticini comprata 13 anni fa dal fondo Bc Partners. Il tutto sotto le dipendenze di Marc Besnier. Per la nuova Parmalat orfana di Piazza Affari, dunque, si profila un futuro da azienda puramente commerciale con impianti produttivi.

È una rivoluzione: da quando Besnier aveva messo piede a Collecchio, nella primavera del 2011 con una scalata da 4 miliardi di euro all’azienda che Enrico Bondi aveva fatto sopravvivere al crack di Calisto Tanzi, Parmalat aveva finora sempre goduto di indipendenza e autonomia. Ora tutta la supervisione, dalle strategie, al raccordo tra i vari paesi di Parmalat, all’audit, faranno capo ai francesi. Oltre al contraccolpo più di sistema paese (si veda altro articolo in pagina), ci sarà anche una conseguenza sull’occupazione: la funzione “corporate” oggi conta circa un’ottantina di manager con relativi staff il cui futuro, dopo la mail di inizio anno, diventa incerto. Lactalis finora è rimasta fedele alla tradizione di non aver mai licenziato un dipendente in Parmalat, ma l’annunciato accorpamento geografico con Galbani sotto Lactalis Italia porterà inevitabilmente anche a una duplicazione di funzioni.

I piani di Monsieur Besnier devono però superare un ultimo ostacolo: il delisting. Facile sulla carta, perché rimane da rastrella appena un 3% di capitale per arrivare al traguardo, ma i precedenti giocano a sfavore: a fine 2016 Lactalis aveva lanciato un’Opa per il delisting, ma allora la strenua opposizione di Amber, che per anni ha contestato la gestione francese, fece saltare tutto. Oggi, senza più il fondo attivista di Joseph Ourghoulian tra i piedi, Lactalis ci riprova: offre 2,85 euro per azione. Praticamente lo stesso prezzo di sette anni fa.

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