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Lana, al via a Bergamo un nuovo progetto per la trasformazione

In regione ci sono quasi 120mila pecore, destinate soprattutto alla produzione casearia ma la tosatura degli animali permetterebbe un riutilizzo di questo materiale naturale al 100% tracciabile

di Giulia Crivelli

 Le «tate asino» portano a valle gli agnelli nati nel periodo estivo, quando i pastori accompagnano i loro greggi in quota, per poi scendere dopo alcuni mesi

2' di lettura

Forse è solo una coincidenza, ma andrebbe usata al meglio. Parliamo di Bergamo e Brescia capitale della cultura 2023, con eventi partiti quasi in concomitanza con la presentazione di un bellissimo progetto, «Tramando s’innova», che riguarda il mondo dell’agricoltura, della pastorizia e degli antichi mestieri ai quali sarebbe vantaggioso per tutti dare una maggiore valorizzazione. Il progetto è stato presentato alla fine del mese scorso a Gandino (Bergamo) ed è strettamente legato alla sostenibilità sociale e soprattutto ambientale. Ovvero al futuro di tutti e in particolare dei giovani. Tramando s’innova punta a promuovere il percorso di trasformazione della lana di pecora al 100% italiana da rifiuto speciale a risorsa e può contare sul finanziamento di Regione Lombardia e Regione Sardegna, mediante fondi Psr (programmi di sviluppo rurale) per la cooperazione tra Gal, acronimo di gruppo di azione locale, un termine che non deve in alcun modo allarmare. I Gal sono partenariati composti da rappresentanti di interessi socio-economici sia pubblici che privati di un territorio, da qui l’aggettivo locale.

Dell’emergenza ambientale legata alla lana, che forse in pochi conoscono, si confrontano da tempo il Gal Barigadu-Guilcer (Oristano), il Gal Valle Seriana e dei Laghi bergamaschi, il Gal Quattro Parchi Lecco-Brianza, l’Agenzia Lane d’Italia e l’istituto per la bioeconomia (Ibe) del Cnr. In Italia, la lana di 8 milioni di pecore, allevate più per fini caseari e produzione di carne che di tessitura, è pressoché inutilizzata. Gli allevatori non sanno come utilizzare la lana cosiddetta sucida, quella appena tosata e che deve ancora essere sottoposta a lavaggio, a causa della mancanza di centri di lavaggio di piccoli e medi quantitativi. Alcuni provano a conservarla mentre altri sono costretti a smaltirla e a pagare per farlo. Il motivo? La normativa considera la lana sucida un rifiuto speciale e, senza la disponibilità di un impianto di lavaggio, il teorico circuito virtuoso della gestione lana è interrotto. Eppure la lana sucida, una volta lavata, presenta importanti punti di forza: ha buone caratteristiche tecniche e il suo utilizzo permetterebbe di costruire una filiera interamente tracciabile sul territorio nazionale. Solo le regioni del Nord contano 460mila capi ovini che producono circa 1.380 tonnellate di lana. In Lombardia sono censiti 116.300 capi, 78mila dei quali sono allevati da pastori vaganti. Secondo i dati di Coldiretti Bergamo, la provincia di Bergamo, con poco più di 40.500 capi, ha il maggior numero a livello regionale, per un totale di 1.145 allevamenti di ovini. Di questi, 332 allevamenti per 37.547 capi sono per la produzione da carne, 6 allevamenti per 284 capi sono per la produzione di latte, 807 allevamenti per l’auto-consumo. Numeri importanti che dovrebbero essere sfruttati al meglio per far ripartire il settore lanaiolo italiano, anche alla luce del crescente interesse del Tma (tessile-accessorio-moda) per questo materiale, che spesso, ad esempio, le aziende della moda importano dall’Australia.

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Nel concreto, Gandino si sta impegnando attivamente per la riapertura di un lavaggio che non solo possa servire la zona, ma che sia anche testimonianza di conoscenza, esperienza e simbolo di competenze lavorative territoriali di un mestiere, come il lavaggio della lana, che diversamente andrebbero perse.

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