Restituzioni

Partenone: l'ultimatum greco al British Museum

La ministra della cultura greca, Lina Mendoni, all’istituzione britannica: attendiamo una risposta sui marmi di Fidia entro il 20 giugno

di Giuditta Giardini

3' di lettura

Con la fine di maggio si chiude un mese carico di dispute legali in tema di arte e restituzione. Tra Christie's denunciata da Hobby Lobby per frode, intercettazioni di pacchi con uova Fabergé tra Russia e Panama, i paesi africani che non mollano sulle restituzioni e un Unesco molto politico che appoggia tutte le richieste, non poteva mancare l'ennesima rivendicazione da parte del governo greco dei marmi del Partenone oggi (ancora) al British Museum.
La storia è sempre la stessa: nei primi anni dell'800, l'equipe archeologica del nobile ambasciatore di origine scozzese, Thomas BruceVII Conte di Elgin, ottenuta valida licenza per scavo ed esportazione dalle autorità ottomane, che al tempo occupavano il territorio greco, ha selezionato la metà dei marmi del Partenone di Atene e se li è portati a casa. Nel 1816 il Governo inglese ha comprato i marmi da Elgin per 35.000 £ per poi esporli al British Museum di Londra. Raggiunta l'indipendenza dai turchi nel 1832, il nascente Stato greco ha impiegato quasi cento anni prima di rivendicare le antichità sottratte.

Dopo vari tentativi di diplomazia culturale per il ritorno delle spoglie del tempio Atena Parthenos, nel 2013 il governo greco ha assegnato e poi tolto il mandato ad agire all'avvocato inglese e docente di diritti umani presso la Columbia University, A mal Clooney. Sembrava, infatti, che l'avvocato spingesse per una pronta azione giudiziaria, mentre la Grecia preferiva un approccio più cauto. Così, nel 2014, il governo ellenico si è rivolto all'Unesco e al suo Intergovernmental Committee for Promoting the Return of Cultural Property to its Countries of Origin or its Restitution in case of Illicit Appropriation (ICPRCP) , ma l'azione extragiudiziale è stata bloccata dal Museo che ha eccepito l'incompetenza dell'Unesco a mediare una disputa tra uno Stato e il board di un Museo che dei marmi è oggi proprietario.
Veniamo così ai giorni nostri, a quella che è stata definita “l'esplosione del supporto internazionale” alla questione greca. Il 21 maggio 2020, nella giornata mondiale della cultura, l'International Association for the Reunification of the Parthenon Sculptures assieme al ministro della cultura greca, Lina Mendoni , hanno reiterato la richiesta di restituzione. Questa volta l'impulso è partito dall'associazione capeggiata da rappresentanti australiani che hanno inviato lettere accese al governo greco per muoverlo all'azione. Secondo Divid Hill, presidente della citata associazione: “il ritorno dei marmi rafforzerà l'alleanza tra l'Inghilterra e la Grecia. Queste opere uniche brillano solo se esposte alla luce attica. La riunificazione delle sculture di Atene è un imperativo artistico, culturale e morale”. Emanuel Comino e Russel Darnley, rappresentanti di un'altra commissione culturale australiana hanno dichiarato che: “ora il governo britannico ha la chance di mostrare il suo ruolo di leader, correggendo l'ingiustizia commessa tramite la restituzione”. Il professore Dimitris Gonis de La Trobe University (Melbourne) chiosa sul tema in un articolo sul The Australian : “Il Partenone è per la Grecia, quello che le Piramidi sono per l'Egitto, il Colosseo per Roma, Stonehenge per l'Inghilterra e Uluru per gli aborigeni australiani. Tutti sanno a chi appartengono i marmi”. La ministra della cultura greca Lina Mendoni, il 22 maggio scorso, in onda su Star TV, ha chiesto al governo inglese di “riconsiderare la loro posizione entro l'11° anniversario del Museo dell'Acropoli ” che cade il 20 giugno. Il nuovo museo è stato creato proprio con lo scopo di accogliere i reperti archeologici dell'area dell'acropoli. La ministra ha aggiunto che il governo greco non potrà mai legittimare la proprietà dei marmi del British Museum in quanto si tratta di possesso di un bene provento di furto.
La posizione greca da un punto di vista squisitamente giuridico non è forte. Come ribadì più volte il professore della Stanford Law School , John Henry Merryman, il modo in cui il conte di Elgin è entrato in possesso dei marmi, è, fino a prova contraria, legale. La Grecia, al tempo, era territorio degli Ottomani e questi di tutti i fregi e frontoni in marmo del Pentelico, opera dello scultore Fidia non sapevano che farsene. Eppure, quando si parla di beni culturali, altre considerazioni di matrice etica-morale devono essere fatte, dopo tutto anche la World Trade Organization ci insegna che i beni culturali non sono beni comuni. E questa eccezionalità, che accompagna il bene d'arte riconosciuta dal Rapporto di Savoy e Sarr commissionato nel 2018 dal presidente francese Emmanuel Macron, ha rimesso in discussione le compravendite o i saccheggi di epoca coloniale del patrimonio culturale africano ad opera dei francesi. In questo rinato clima di sensibilità verso la restituzione e ricollocazione delle opere nei paesi di origine, forse la Grecia avrà qualche chance in più per reclamare il suo patrimonio artistico. Il 20 giugno avremo una risposta.

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