De Sena: «il reato universale deve rispondere a interessi largamente condivisi»
Per il docente è una forzatura giuridica l’estensione del reato universale al cosiddetto utero in affitto
di Patrizia Maciocchi
3' di lettura
Per Pasquale De Sena, ordinario di diritto internazionale all'Università di Palermo e presidente della Società italiana di Diritto internazionale e dell'Unione europea, una forzatura giuridica l'estensione del reato universale al cosiddetto utero in affitto
Il contenuto della proposta di legge, presentata dal governo, può rientrare nel concetto giuridico di reato universale?
In realtà, la proposta di legge semplicemente estende le pene previste dall’articolo 12 della legge 40, che vieta la maternità surrogata, all’ipotesi in cui questa sia stata praticata all’estero da cittadini italiani. Una disposizione che, secondo qualcuno, istituirebbe un “reato universale”, ma in realtà non ha nulla a che vedere con le fattispecie criminose internazionali in senso proprio, dal momento che essa non è imposta da alcuna norma internazionale
Quali sono le ipotesi alle quali invece si applica oggi?
Si può pensare ad esempio, al reato di tortura, previsto da una convenzione del 1984, ma introdotto in Italia solo nel 2017, o al genocidio. Il disegno di legge neppure si riferisce ad una figura di reato che risponde a interessi largamente condivisi sul piano “universale”. Basta considerare che in molti Stati tale pratica non è repressa penalmente, ad eccezione dei casi in cui è effettuata per motivi di lucro. Si tratta dunque di una definizione fuorviante.
L’estensione del reato universale alla gestazione per altri è comunque una via percorribile?
Se è vero che la modifica in questione non è imposta da alcuna norma internazionale, essa neppure è vietata. Nel contesto europeo, la Corte europea dei diritti dell'uomo, che si è recentemente occupata della questione, non ha mai negato la possibilità degli Stati di scegliere autonomamente i propri indirizzi sanzionatori in tema di maternità surrogata, e si può dunque ritenere che l’estensione della sua punibilità rientri in tale libertà.
Il reato “senza confini” può essere in contrasto con l’interesse superiore del minore?
L’indicazione arriva sempre dai giudici di Strasburgo. La Cedu ha chiaramente stabilito che eventuali norme restrittive non devono andare a scapito della tutela dei minori. Si tratta dalle pronunce nel caso Menesson, in cui essa, non solo ha stabilito che il mancato riconoscimento di una filiazione costituita all’estero è una violazione del diritto alla “sostanza” dell’identità personale, ma anche (parere del 2019, richiesto dalla Cassazione francese) che il riconoscimento del rapporto di filiazione – in quel caso, “rispetto alla madre d'intenzione” - non può mancare, quale che ne sia la forma, trascrizione o adozione.
C’è il rischio di introdurre una norma contraria alla Convenzione e alla Costituzione? Sì, se il legislatore italiano non vara, così come richiesto anche dalla sentenza “monito” 33/2021, della Corte costituzionale, una disciplina che dia esecuzione al valore, costituzionalmente e internazionalmente tutelato, del rispetto dei diritti dei minori e del loro “best interest”, nel senso appena indicato. Una disciplina assolutamente necessaria, anche perché è ipotizzabile che, in sua mancanza, i casi in cui gli ufficiali di stato civile si rifiutino di trascrivere l’atto estero di costituzione della filiazione siano destinati a crescere, visto l’inasprimento del regime sanzionatorio, previsto dalla proposta.
L’estensione della punibilità di cittadini italiani che vanno all’estero approfittando di regimi più permissivi può comunque essere un deterrente?
Al di là di quanto già osservato, mi pare uno strumento eccessivo, di certo nella misura in cui esso riguarda indiscriminatamente sia ipotesi di gestazione per altri a fini di lucro - normalmente vietate anche nei Paesi dove la pratica è consentita (ma non negli Stati Uniti e in Ucraina) - sia le altre. D’altra parte, è evidente la sproporzione fra quest’effetto specifico e la media gravità delle conseguenze del reato che comportano la reclusione, già disposte dalla legge 40 (a fronte, peraltro, della notevole entità di quelle pecuniarie). Direi che andrebbe superata un’impostazione che non differenzia, restringendo il divieto di gestazione per altri solo alle ipotesi lucrative, punibili anche per la pratiche estere.
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