fase 2

Passione e cucito, gli operai di Moroso e il lavoro da casa

Molte aziende del legno-arredo per salvaguardare la salute dei lavoratori hanno anticipato il lockdown pur continuando l'attività. Le 1.200 consulenze di Lago grazie alla piattaforma online

di Giovanna Mancini

Interno dello stabilimento Snaidero a Majano (Udine)

4' di lettura

Molte aziende del legno-arredo avevano chiuso gli impianti prima ancora che il governo imponesse il lockdown in tutto il Paese. Per tutelare la salute dei dipendenti, spaventati per il rapido diffondersi del contagio da Covid-19. E per questo la possibilità di ripartire è stata accolta con grande entusiasmo ed energia da parte di tutti.

Perché il mondo imprenditoriale nordestino è così: piccole, talora piccolissime realtà, in cui il legame tra dipendenti e proprietà è strettissimo e solido. È questo legame che ha fatto il successo di una filiera profondamente radicata nelle regioni del Nord-Est: con oltre 11 miliardi di fatturato, 11.800 aziende e oltre 78mila addetti, in questo territorio si concentra un quarto della produzione nazionale del comparto, secondo i dati di Federlegno-Arredo. Se la Lombardia ha il primato dei ricavi, Veneto e Friuli-Venezia Giulia seguono a ruota sul podio.

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«Abbiamo chiuso prima del decreto governativo – racconta Damir Eskerica, ceo della friulana Moroso – e siamo felici di averlo fatto. Abbiamo perso un mese e mezzo di fatturato, calcoliamo circa 4 milioni di euro, ma l’azienda ha una responsabilità nei confronti dei propri dipendenti e questo è stato capito e apprezzato. Pensi che dopo la chiusura molti operai hanno chiesto di potersi portare a casa il lavoro per andare avanti comunque e quando abbiamo riavviato la produzione il 4 maggio, tutti sono tornati in fabbrica estremamente motivati. Questo è impagabile per noi». Il riavvio è stato graduale: nelle settimane di lockdown l’azienda ha preso pochi ordini perché tutto il mercato ha rallentato, ma non è stata ferma: le attività di progettazione e marketing sono proseguite sulle piattaforme virtuali per confrontarsi con architetti e designer e per presentare anche ai professionisti le nuove collezioni.

Stessa scelta – chiusura prima del lockdown e grande impulso al digitale – per la veneta Lago. «Il fatto di essere un’azienda già fortemente digitalizzata ci ha aiutati molto durante la chiusura, sia culturalmente, sia da un punto di vista operativo», spiega il ceo Daniele Lago. Subito dopo lo stop della produzione, l’azienda è stata una delle prime del settore a lanciare una piattaforma online di consulenza e progettazione pensata per mettere in connessione rivenditori e clienti di tutto il mondo. «Abbiamo fatto circa 1.200 consulenze digitali in queste settimane, con professionisti o clienti finali – precisa Lago – ma anche sessioni formative per i nostri dealer. Da un punto di vista intangibile, devo dire che i nostro uffici hanno lavorato come non mai». Il sito ha registrato un aumento delle visite del 50% e le interazioni sui social sono arrivate a 1,2 milioni: «Numeri impressionanti che ci fanno ben sperare per i prossimi mesi, nonostante al situazione difficile», conclude l’imprenditore.

Che il digitale sia stato – e sarà sempre più – lo strumento per parare i colpi di questa difficile crisi è evidente a tutti: l’emergenza legata alla pandemia ha accelerato investimenti ed esperimenti in questo senso e le aziende nordestine non si sono fatte trovare impreparate.

Qualcuna, grazie anche al tipo di merceologia, ha potuto fare leva sul canale dell’e-commerce: «Noi non abbiamo una fabbrica, quindi il nostro lavoro è andato avanti per tutti da remoto – dice ad esempio Carlo Urbinati, presidente e amministratore di Foscarini, brand dell’illuminazione con sede a Venezia, che in Europa raggiunge il 12-13% di ricavi attraverso web -. Abbiamo uno stock importante di prodotti gestito da un partner che si occupa anche della spedizione e siamo riusciti a rifornire i nostri rivenditori, che si occupano anche delle vendite online». Il problema è che i negozi sono stati (e sono) in gran parte chiusi in tutto il mondo: «Molti colli sono tornati indietro – dice Urbinati -. Senza la riapertura dei negozi, noi a chi vendiamo? Siamo l’esempio dell’integrazione della filiera che caratterizza il made in Italy: se si fermano i nostri fornitori e i nostri distributori, ci fermiamo anche noi». Gli ordini, nel complesso, sono rallentati, ma ora per fortuna le cose ricominciano a muoversi: «Mi aspetto che in due-tre mesi riparta un po’ tutto», aggiunge il manager.

Più difficile fare affidamento sull’e-commerce per chi, come la friulana Snaidero, produce cucine. «Quello che ci sta sostenendo e ci ha permesso di riaprire già in parte il 20 aprile è il settore del contract – spiega l’amministratore delegato, Massimo Manelli -. Dal 4 maggio tutti i nostri 230 operai sono tornati in fabbrica, con turni di quattro giorni un giorno di casa integrazione. Stiamo completando ordini pregressi, ma poi bisognerà vedere che cosa succede con la riapertura dei negozi, perché la distribuzione retail rimane fondamentale». L’emergenza impone di ripensare molti modelli, a partire dalla comunicazione: «Dovremo abituarci a un rapporto diverso con la clientela – osserva Manelli – e il digitale ci offre grandi opportunità, come abbiamo imparato in queste settimane di crisi, per accelerare un cambiamento nell’approccio, che dovrà ad esempio essere sempre più rivolto ai consumatori finali». E proprio con due eventi virtuali, in giugno, Snaidero lancerà due nuovi monomarca (a Milano e Majano), cogliendo l’occasione per presentare anche, a fornitori, buyer e stampa anche, le collezioni 2020.

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