Pasta bio con i parassiti? Non risponde il supermercato se la confezione è originale
Colpa del commerciante esclusa se la scadenza è lontana e all’esterno non ci sono segni di alterazione. Per le verifiche sarebbe necessario aprire le scatole e il prodotto sarebbe invendibile
di Patrizia Maciocchi
I punti chiave
2' di lettura
La responsabilità per la vendita della pasta bio con i parassiti, nociva per la salute, non è del supermercato ma del produttore. La colpa del commerciante va, infatti, esclusa se il prodotto è arrivato nella sua confezione originale, con una scadenza lontana e senza segni di alterazione, almeno visibili dall’esterno. La Cassazione accoglie così il ricorso del responsabile del supermarket, che era stato condannato dal Tribunale per aver detenuto, in vista della vendita, dei pacchi di pasta bio, di un noto marchio, con all’interno dei parassiti. Ad avviso dei giudici di primo grado, infatti, dalle finestre plastificate dei pacchi si poteva verificare il contenuto.
L’apertura riservata al solo consumatore
Per il ricorrente si tratta invece di una condanna basata sulla prospettiva della mera possibilità per lui «di rendersi conto della natura di quanto immesso in commercio». Un’impresa impossibile in realtà, visto che i pacchi di pasta “contaminati” erano solo due su diversi colli, le finestre trasparenti estremamente ridotte, e i parassiti erano stati trovati nel lato chiuso dei pacchi e dunque non visibili. La Suprema corte chiarisce che la responsabilità va attribuita al produttore, quando per il commerciante è materialmente impossibile accertare, con la normale diligenza e prudenza «la rispondenza alle prescrizioni legali del prodotto messo in vendita». I giudici di legittimità tracciano così un perimetro entro il quale la colpa del rivenditore va esclusa, ferma restando la responsabilità del produttore. Il primo non può dunque essere ritenuto colpevole, non solo ovviamente del procedimento di lavorazione e produzione, ma neppure dell’«immissione al consumo» di alimenti che siano stati consegnati nelle confezioni originali.
Possibilità di vedere i vizi dall’esterno e conservazione
Tranne i casi in cui i vizi possono essere riscontrati anche dall’esterno, oppure siano noti al rivenditore. Coinvolgimento che va escluso anche nel caso di cibi imballati o sfusi, che «non rivelino esteriormente alcun vizio e per i quali l’analisi o qualsiasi appropriato controllo si risolverebbe, per l’estrema deperibilità del prodotto, nell’incommestibilità di esso e, in pratica, nell’impossibilità di immetterlo al consumo». Tuttavia per uscirne indenne il gestore del negozio o del supermarket deve dimostrare di aver adottato tutte le cautele igienico-sanitarie, nell’esposizione e nella vendita dei cibi, in modo da garantire la corretta conservazione. Se questo non avviene - avverte la Cassazione - non può essere escluso il reato di somministrazione di sostanze «alimentari insudiciate o invase da parassiti» solo per il fatto che il produttore le ha confezionate in modo tale da poter essere aperte solo dal consumatore.
I cibi di produttori stranieri
Principi che trovano però un limite - concludono i giudici di legittimità - nel caso di prodotti alimentari provenienti da un produttore straniero «non essendovi in tal caso la certezza del rispetto delle prescrizioni imposte dalla legge italiana per prevenire il pericolo di frode o di danno alla salute del consumatore».
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