Materie prime

Pasta, l’allarme non viene dalla mancanza di grano ma da caro energia e speculazione

Secondo i pastai di Unione italiana food da Russia e Ucraina meno dell'1% del fabbisogno di grano duro, che ha quotazioni stabili dopo gli aumenti dei mesi scorsi (+80%). Ma la corsa di energia e petrolio mette a rischio la sopravvivenza di un settore che dà lavoro a oltre 10mila persone

di Silvia Marzialetti

L’industria della pasta è messa in crisi dai costi energetici e dall’aumento del grano duro registrato nell’ultimo anno

2' di lettura

Non è la guerra in Ucraina a mettere in crisi i pastifici, ma l’effetto combinato dei cambiamenti climatici, della speculazione internazionale e della corsa all’accumulo di beni essenziali da parte di alcuni Stati. A fare chiarezza sono i pastai di Unione Italiana Food, l’associazione che riunisce le 450 aziende aderenti ad Aidepi (Associazione delle industrie del dolce e della pasta italiane) e Aiipa (Associazione italiana industrie prodotti alimentari), con 65mila addetti e 40 miliardi di fatturato.

Il settore della pasta (120 aziende, molte di tradizione centenaria, che danno lavoro a oltre 10mila persone) da mesi attraversa una crisi senza precedenti. «In un’economia globale – spiega Luigi Cristiano Laurenza, segretario dei Pastai italiani di Unione Italiana Food – le oscillazioni di una commodity trascinano inevitabilmente le altre, per questo non possiamo purtroppo escludere che il conflitto possa avere effetti indiretti anche sulla pasta».

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Ma i principali imputati di questa crisi, al momento, sono altri. «Il prezzo del grano duro – dice Laurenza – è sì stabile da qualche settimana, ma deriva da un aumento dell’80% negli ultimi 12 mesi per l’effetto combinato di cambiamenti climatici, speculazione internazionale e corsa all’accumulo di beni essenziali. Senza contare che al rincaro delle materie prime si sono accompagnati, negli ultimi sei mesi, aumenti dei costi energetici (con un’inflazione sugli energetici di oltre il 28% da inizio anno), petrolio (ai massimi dal 2014) e materiali da imballaggio, che ha costretto le aziende a una serie di sforzi per fronteggiare gli inevitabili aumenti in termini di costi di produzione e di prezzo del prodotto a scaffale».

Ha pesato anche lo sciopero dei trasportatori. «“A febbraio – spiega Laurenza – alcune aziende sono state costrette a chiudere temporaneamente le proprie linee di produzione per mancanza delle materie prime, o per impossibilità di consegnare il prodotto finito, causando danni per milioni di euro non solo alle imprese ma a tutto il tessuto sociale che ruota attorno a esse».

D’altronde, dati alla mano, dall’Ucraina non è stato importato grano duro nel 2021, mentre quello arrivato dalla Russia nello stesso periodo rappresenta meno del 3% delle importazioni e meno dell’1% sul fabbisogno totale dei pastai. L’Ucraina – ricorda l’associazione che riunisce oltre venti settori merceologici – è tra i principali produttori di grano tenero, materia prima da cui si ricava la farina utilizzata come ingrediente di pane, dolci, pizza o mangimi per animali. Ma non della pasta».

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