Patto di stabilità Ue: la possibile riforma in tre mosse
Un percorso ambizioso, quello che si appresta ad affrontare la neo presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen: potrebbe portare prima della fine dell’attuale legislatura europea alla modifica dei Trattati istitutivi dell’Unione economica e monetaria attraverso una versione aggiornata del Patto di stabilità
di Dino Pesole
4' di lettura
Una riforma in tre mosse, che potrebbe portare prima della fine dell’attuale legislatura europea alla modifica dei Trattati istitutivi dell’Unione economica e monetaria attraverso una versione aggiornata del Patto di stabilità e la revisione dell’architettura istituzionale eretta negli anni della crisi per salvaguardare la stabilità dell’eurozona, dunque Fiscal Compact, Six Pack e Two Pack.
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È un percorso ambizioso, quello che si appresta ad affrontare la neo presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, lastricato di difficoltà non da poco (in primis la tradizionale opposizione dei paesi rigoristi del nord Europa), e che tuttavia potrebbe ora riprendere vigore alla luce del drastico rallentamento dell’economia tedesca. In primo luogo, si potrà semplificare e rafforzare la Comunicazione sulla flessibilità approvata nel gennaio del 2015 dalla Commissione Juncker. Già l’aver previsto di concedere spazi fiscali ai paesi membri (ovviamente se non sottoposti a procedura d’infrazione per disavanzo eccessivo) a fronte di riforme e investimenti, ma anche in presenza di evidenti circostanze eccezionali, tra cui il perdurare di una fase di grave rallentamento dell’economia o calamità naturali, ha aperto la strada a una reinterpretazione di fatto delle regole di bilancio europee all’insegna appunto della flessibilità. E così quel patto di stabilità, definito “stupido” da Romano Prodi quando era presidente della Commissione Ue, e sottoposto da anni a critiche e osservazioni, è già stato nei fatti reso più “intelligente”.
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E l’Italia ne ha beneficiato più di altri, avendo ottenuto flessibilità per 30 miliardi dal 2015 al 2018. Ora si potrebbe rendere meno farraginoso e più fluido il meccanismo che porti al riconoscimento di flessibilità a beneficio dei conti pubblici, soprattutto se si è in presenza di impegni precisi assunti dal paese membro sul versante delle riforme strutturali e degli investimenti. Ne ha fatto cenno il presidente del Consiglio Giuseppe Conte nel corso del suo discorso programmatico alla Camera, quando ha ricordato che occorre semplificate le regole del Patto di stabilità “evitare effetti pro-ciclici, e sostenere gli investimenti a partire da quelli legati alla sostenibilità ambientale e sociale”.
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Accanto alla semplificazione dei meccanismi e al rafforzamento della Comunicazione sulla flessibilità, si può in costanza di Trattati avviare un confronto politico tra i paesi membri che porti ad alcune misure concrete, tra queste il possibile scorporo dal calcolo del deficit di investimenti destinati a opere infrastrutturali fondamentali (materiali e immateriali) e diretti a finanziare la green economy, in linea con quel Green new deal evocato da Conte ed espressamente contenuto nel programma del nuovo governo. Operazione che potrebbe chiamare in causa la Bei, in attesa che maturino le condizioni per l’emissione di eurobond destinati a potenziare la leva fondamentale degli investimenti.
Accanto a queste due prime mosse dovrebbe procedere di pari passo il percorso in sede europea per la revisione dell’attuale governance economica europea, da condurre di pari passo con il completamento dell’unione bancaria attraverso la garanzia europea sui depositi bancari. Per riscrivere le “tavole della legge” che risalgono al Trattato di Maastricht del 1992 (tra cui i target del debito al 60% del Pil e del deficit al 3% del Pil) occorrerà passare attraverso la modifica dei trattati con un iter lungo e complesso peraltro poi da sottoporre all’approvazione di tutti gli Stati membri. Nelle more alcune revisioni in corso d’opera sono possibili sfruttando le ipotesi di lavoro, i draft e documenti già da tempo all’esame della Commissione Ue. Tra questi, in primo luogo, la sostituzione del parametro del deficit strutturale (calcolato al netto delle variazioni del ciclo economico e delle una tantum) con un parametro meno rigido che faccia riferimento all’andamento della spesa corrente. Il che avrebbe un impatto sul calcolo del Pil potenziale (il cosiddetto output gap) da tempo oggetto di acceso confronto tra Roma e Bruxelles.
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È sul parametro del deficit strutturale che si definiscono le “pagelle” europee con conseguente richiesta di correzioni in corso d’opera. Infine anche lo stesso meccanismo sanzionatorio previsto dall’attuale disciplina di bilancio europea andrebbe aggiornato. Non ha molto senso brandire l’arma delle sanzioni (non a caso mai adottata finora). Avrebbe più senso potenziare la moral suasion e nel caso di palese inadempienza individuare altre formule sanzionatorie (tra questi la momentanea sospensione dei finanziamenti provenienti dai fondi comunitari. In tutto in attesa di un vero bilancio comune dell’eurozona. Patto di crescita e stabilità, cambiando l’ordine degli addendi dunque: ecco quel che serve all’Europa oggi, secondo il tracciato indicato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Coesione e crescita sono gli obiettivi ai quali guardare e il necessario riesame delle regole del Patto di Stabilità può contribuire a una nuova fase, rilanciando gli investimenti in infrastrutture, reti, innovazione, educazione e ricerca».
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