Renzi, lo zaino e la fine del Pd «all’americana»
Con la decisione dell’ex premier muore l’idea veltroniana del bipartitismo come compimento del bipolarismo, il sogno di semplificare la politica italiana partendo dai partiti. Ma cambiando contenitore non si cambiano i contenuti
di Francesco Prisco
3' di lettura
Da un Matteo all’altro, la cifra stilistica della politica italiana continua a essere il «ti lascio (con) una canzone». Su Twitter, meglio ancora: «Due strade trovai nel bosco e io scelsi quella meno battuta. Ed è per questo che sono diverso. Come nella poesia di Frost noi scegliamo la strada più difficile, senza paracadute. La colonna sonora di stanotte è “Sul lungomare del mondo”» di Jovanotti. Con queste parole, cinguettate nella notte tra lunedì e martedì 17 settembre, Matteo Renzi dice addio al Pd.
Tra Frost e Jovanotti
Due citazioni di quelli che probabilmente sono i suoi intellettuali di riferimento: da un lato il poeta americano caro all’universo scout dal quale l’uomo che si fece rottamatore proviene, dall’altro l’eterno ragazzo della musica leggera italiana. Frasi che non devi cercare, perché sono loro a venirti incontro: il Frost citato da Renzi è lo stesso del film L’attimo fuggente, così mainstream da finire in cima alla voce Wikipedia dedicata allo scrittore di San Francisco. Il Jovanotti prescelto è insolitamente crepuscolare: «Da oggi chiudo i conti col passato/ I passi fatti e quelli che farò/ Da oggi ogni giorno nascerò da zero». Eppure arriva da Ora (2011), l’ultimo grande successo commerciale del teorico del penso positivo buono per tutte le Leopolde.
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Fine della grande illusione
Grande è la confusione sotto il cielo, forse per questo ai più sfugge che tutto sommato siamo di fronte a una svolta epocale, un evento di portata storica: tramonta definitivamente l’idea veltroniana che portò alla nascita del Pd, muore il sogno millenarista del bipartitismo come compimento del bipolarismo sorto sulle ceneri di tangentopoli, finisce la grande illusione del grande partito nato dal grande processo assembleare che coinvolgeva le due grandi anime politiche del dopoguerra, gli eredi delle tradizioni comuniste (Pci, Pds, Ds) e cristiano sociali (Dc, Popolari, Margherita).
Il sogno di Veltroni, l’amico americano
Eppure sembra ieri. Ve lo ricordate il 2007? Che idea, ragazzi: una specie di rivoluzione copernicana del nostro scacchiere politico. O forse dovremmo dire rivoluzione americana: il vecchio concetto di coalizione (Ulivo contro Casa delle Libertà) superato dal partito unico che ha per nome il calco del nome del partito che fu dei Kennedy, è stato dei Clinton e sarà di Obama. Al timone Walter Veltroni, un ex comunista che - per sua stessa ammissione - veramente comunista non è mai stato, figlio d’arte di giornalista Rai, raffinato studioso di cinema che, da direttore dell’Unità, negli anni Novanta evangelizzò i lettori allegando al quotidiano di Gramsci le videocassette di Blow up e Il grande freddo. È l’amico americano che porta le primarie in Italia, impone un partito a «vocazione maggioritaria», predica un Paese nel quale, la mattina dopo le elezioni, si sappia chi ha vinto e chi ha perso. E chi ha vinto governa per cinque anni, alla faccia del Porcellum.
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Non siamo mica gli americani
C’è un piccolo dettaglio, tuttavia: non siamo mica gli americani. Berlusconi ci mette una sera a fondare il Pdl, sua particolare interpretazione del concetto di partito unico applicata al centrodestra: gli basta salire sul predellino, in piazza San Babila. E alle Politiche 2008 avrà la meglio. Ma la lezione che deriva da quella storia è per certi versi analoga a quella del Pd: se vuoi cambiare il contenuto, non ti basta cambiare il contenitore. Se vuoi bipolarismo, alternanza e stabilità di governo, non ti bastano i partiti unici.
Lo zaino in spalla e i saldi da Decathlon
Grande sarebbe la tentazione di infilare la lunga sequenza di errori strategici commessi dal Pd nei suoi primi 12 anni - uno su tutti: la sfida di Grillo alle primarie 2009 andava accettata - ma forse è più interessante interrogarsi sul futuro di questo schieramento che nasceva per semplificare lo scacchiere politico ed è finito in confusione. Concentriamoci sulla scelta di Renzi - il segretario-premier del 40% alle Europee 2014 - di fondare un nuovo partito: «C’è una strada nuova da percorrere. Lo faremo zaino in spalla, passo dopo passo», scrive ancora su Twitter, l’ex sindaco di Firenze. Siamo sicuri che la tempistica, per un gesto del genere, sia quella giusta? Dove vai a metà settembre con lo zaino in spalla? A voler guardare proprio il bicchiere mezzo pieno, da Decathlon ci sono i saldi.
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