AnalisiL'analisi si basa sulla cronaca e sfrutta l'esperienza e la competenza dell'autore per spiegare i fatti, a volte interpretando e traendo conclusioni. Scopri di piùLa strategia della segretaria

Pd, Schlein rilancia la piazza. Ma le correnti intensificano l’assedio

La direzione dem si appresta all’ennesimo voto favorevole alla segretaria ma dietro le quinte i big si riorganizzano in «correntone» per condizionarla. Sotto accusa la flessione nei sondaggi e la competition con il M5s

di Emilia Patta

Schlein: Vado a vanti con il mandato ricevuto

4' di lettura

«Il Pd non smobilita, dopo l’estate militante andiamo avanti e mettiamo in campo le nostre battaglie». La segretaria del Pd Elly Schein annuncerà oggi nella direzione del Pd la data della manifestazione romana contro il governo Meloni «tutto chiacchiere e distintivo», ossia l’11 novembre, e andrà avanti per la sua strada “movimentista” su temi come la difesa della scuola e della sanità pubbliche, la lotta al lavoro povero e al caro vita, la transizione ecologica. E ancora una volta la minoranza riformista che fa capo al presidente del partito Stefano Bonaccini farà buon viso apprestandosi a votare a favore della relazione della segretaria.

I malumori crescono nella stessa maggioranza dem

Tutto cambia affinché tutto resti com’è, insomma, per parafrasare la famosa frase di Tancredi nel Gattopardo. Sono passati più di otto mesi da quella notte del 26 febbraio scorso che a sorpresa ha visto la vittoria dell’outsider Schein, fino a poche settimane prima neanche iscritta al partito, alle primarie aperte agli elettori dopo che il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini aveva stravinto tra gli iscritti (52,8% contro il 34,9%). Una candidatura e una vittoria, va ricordato, rese possibili da un inedito cambio statutario deciso dall’allora segretario Enrico Letta - in accordo con i capicorrente, da Dario Franceschini a Nicola Zingaretti ad Andrea Orlando - che ha permesso per la prima volta ai non ancora iscritti di partecipare al congresso: non solo Schlein, ma anche i bersaniani di Articolo 1 sulla via del ritorno nella casa madre.

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Sotto accusa la flessione nei sondaggi

Eppure i malumori dietro le quinte crescono, e non solo come si potrebbe pensare tra i riformisti bonacciniani, tanto che lo stesso Bonaccini non esclude di ritentare la scalata al partito se le prossime europee del 9 giugno 2024 dovessero andare particolarmente male. Malumori e perplessità albergano ormai stabilmente anche tra i “maggiorenti” che lo scorso febbraio hanno appoggiato la corsa di Schlein per impedire la vittoria di Bonaccini. Perché l’asse del Pd è sì stato spostato a sinistra - si veda da ultimo la crociata contro il Jobs Act, fiore all’occhiello dell’era renziana del Pd - ma i risultati in termini di consenso stentano a vedersi: gli ultimi sondaggi vedono il partito scivolare pericolosamente sotto il 20, a poca distanza ormai da un M5s quasi al 17%.

Stallo nella costruzione del campo largo con il M5s

Se insomma lo spostamento dell’asse a sinistra avrebbe dovuto “rubare” voti ai 5 Stelle, come molti sostenitori di Schlein sostenevano, si può dire che l’operazione non sia (ancora?) riuscita. A questo si aggiunge lo stallo nella costruzione dell’alleanza alternativa alla destra meloniana, con il leader pentastelato Giuseppe Conte che in vista delle europee, dove si correrà con il sistema proporzionale, non perde occasione di distinguersi: sull’immigrazione, sull’Ucraina, sulla Rai e da ultimo anche remando contro l’ipotesi di una proposta comune delle opposizioni sulla sanità («a Schlein e Calenda dico che se uno va prima in tv a dire “queste sono le nostre proposte” non funziona: bisogna lavorare assieme a fari spenti, noi abbiamo le nostre di proposte»). Chiaro che alle europee si decide la leadership del futuro centrosinistra e Conte vuole condurre la sua partita fino in fondo.

I big si riorganizzano in «correntone»

Quanto a Schlein, sa che alle prossime europee si gioca il tutto per tutto, un po’ come accaduto ormai dieci anni fa a un altro outsider, Matteo Renzi, che dalla postazione di Palazzo Chigi portò il Pd allo storico traguardo del 41%. Ora l’asticella, non esplicitata, è molto più bassa: 20%. E intanto i maggiorenti non stanno a guardare, visto che sembra stia per nascere un Correntone per unire Areadem di Franceschini, l’ex segretario Zingaretti, i lettiani senza Letta (che vuole tenersi fuori dai giochi di corrente), il sindaco di Firenze Dario Nardella e anche, sia pure un po’ a distanza, il capogruppo in Senato Francesco Boccia. Un modo per sostenere la segretaria, certo, ma anche per condizionarne le scelte e le candidature alle prossime europee (non è un mistero che Zingaretti e Nardella puntino a un posto a Strasburgo). Ma c’è anche una lettura più maliziosa: il correntone avrebbe pure la funzione di bilanciare negli organismi interni la corrente di sinistra di Andrea Orlando e Giuseppe Provenzano, Dems, nel caso di votazione per l’elezione di un nuovo segretario di transizione se le europee dovessero andare particolarmente male.

Ma il vero nodo è la proposta politica

Tutto cambia affinché tutto resti com’è, appunto, perpetuando i vecchi vizi di un partito che dalla nascita nel 2007 ha visto ben nove segretari tra vincitori di congressi ed eletti dall’assemblea nazionale. Eppure Schlein sta facendo coerentemente quello per cui è stata scelta alle primarie da migliaia di simpatizzanti che - stando alle rilevazioni - non avevano neanche votato Pd alle ultime politiche, ossia spostare il partito a sinistra, e lo sta facendo in base a regole cambiate ad hoc dagli stessi maggiorenti oggi in agitazione. Forse, invece di dedicarsi a cambiare le regole e i segretari, i dirigenti dem dovrebbero riflettere meglio sulla linea e sulla proposta politica utile a tornare al governo del Paese: ha senso una tardiva svolta di sinistra alla Corbyn proprio mentre il Labour Party sta risalendo nei sondaggi grazie alla leadership riformista di Starmer? Ha senso ripudiare ora le riforme della stagione governativa del Pd? E per proporre che cosa, in alternativa, che non sia aumento di spesa pubblica?

La (facile) ironia della premier Meloni

Non stupisce l’ironia di Giorgia Meloni, che con un’opposizione così divisa e ondeggiante si permette proprio in queste ore la sua stilettata: «La sinistra è allergica alla democrazia: hanno cominciato ad attaccare persino Elly Schlein, non gli va bene neanche il segretario loro se è eletto, faranno il segretario “tecnico”».

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