editorialeEDITORIALE/1

Pechino cerca un contraltare agli Stati Uniti

di Giuliano Noci

(AFP)

3' di lettura

L’ulteriore investimento di Hna - divenuto ora primo socio con una quota del 10% in Deutsche Bank - ci riporta ad un tema chiave: quali le strategie della Cina nei confronti dell’Europa. La risposta al quesito ci impone di ricorrere ad alcuni numeri e indicatori in grado di aiutarci a contestualizzare lo stato dei rapporti bilaterali. L’Europa nel suo complesso rappresenta il più importante mercato di destinazione delle merci cinesi (per un controvalore di quasi 500 miliardi di Euro); il vecchio Continente ha nel contempo attratto negli ultimi anni un’enorme massa di investimenti in operazioni di M&A dall’ex Impero di Mezzo: basti pensare che solo nel 2016 abbiamo assistito a investimenti per 35 miliardi di euro (+77% rispetto al 2015).

L’ammontare degli investimenti in titoli quotati nelle Borse europee è cresciuto in misura molto significativa (basti solo pensare a quanto successo in Italia negli ultimi anni con l’acquisizione di quote di minoranza, ma miliardarie, nei titoli più importanti quotati a Milano). Sono lievitati infine gli investimenti in infrastrutture (tra gli altri il porto del Pireo e un aeroporto in est Europa). E siamo probabilmente solo all’antipasto.

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Assistiamo insomma ad un radicale cambiamento di rotta rispetto ad un percorso che aveva portato il governo di Pechino a guardare – negli anni ’90 e nei primi anni del nuovo millennio – prevalentemente agli Usa e a trascurare i Paesi europei. Quali le ragioni di un interesse così elevato?

Molteplici e di natura sia economica sia politica, conseguenti a processi di trasformazione industriale interna e a ragioni di natura prettamente finanziaria. Ma cerchiamo ora di fare un po’ d’ordine. Se ci poniamo da una prospettiva di business, dobbiamo allora ricondurre questo grande interesse per l’Europa – e per l’Italia - al varo del piano Made in China 2025: un imponente progetto di pianificazione industriale che intende orientare la produzione cinese verso logiche di forte automazione produttiva, una scelta sempre più spiccatamente indirizzata verso l’innovazione di prodotto in un orizzonte di sostenibilità industriale. In questo senso, la Cina ha bisogno come il pane del know how di molte imprese europee per favorire/accelerare un processo di cambiamento tutt’altro che semplice. Non meno rilevanti sono le ragioni di natura geo-politica: la Cina ha bisogno di creare un contraltare agli Usa nella prospettiva della realizzazione di un dialogo strategico nei confronti di un continente che unisce alla forte interconnessione dal punto di vista dell’economia anche una posizione geografica prospiciente ad un’Africa, che per la sua disponibilità di risorse naturali già rappresenta un target rilevantissimo per l’ex Impero di mezzo.

Né dobbiamo inoltre dimenticare il bisogno di diversificazione degli investimenti finanziari fino a poco tempo fa quasi esclusivamente orientati sui titoli del debito pubblico americano. Il varo del progetto One Belt One Road – ovvero lo stanziamento di centinaia di miliardi di dollari per due moderne Vie della Seta (una terrestre e l’altra marittima) - rappresenta del resto il completamento di un disegno in cui economia e politica si intrecciano fino a diventare un tutt’uno; se da un lato Obor è un grande progetto infrastrutturale per garantire vie commerciali moderne e affidabili ai prodotti di esportazione, esso rappresenta dall’altro una piattaforma di influenza politica di una Cina che intende proiettarsi sempre più ad ovest, sfruttando la parziale latitanza del timoniere nord americano.

Giova a questo proposito ricordare che ad oggi hanno aderito al progetto ben 65 Paesi, tra cui l’Italia. Da questo nuovo scenario, l’Europa può trarre qualche vantaggio? Sì se riesce a far leva sull’enorme interesse cinese per il vecchio continente chiedendo in cambio contropartite concrete. Ad esempio, tra le altre, la rimozione di vincoli (tariffari e/o doganali) sui propri prodotti; così come la possibilità di accedere all’enorme mercato sanitario e farmaceutico che si va delineando in Cina per via del progressivo innalzamento dell’età media della popolazione. E ancora: una competizione più fair con riferimento a tecnologie e servizi acquistati dagli enti pubblici cinesi. Perché questo scambio si realizzi è ovviamente indispensabile che l’Europa si muova in modo univoco e parli con una voce sola per poter così mettere in gioco quella massa critica in grado di conferire maggior peso e credibilità alle richieste formulate. Le rotte che portano l’Europa in Cina si moltiplicano e sono sempre più frequentate. Particolarmente – una felice sorpresa - dall’Italia.

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