Spionaggio

Pegasus, il telefono di Macron tra gli obiettivi dello spyware israeliano

Il cellulare del presidente francese potrebbe essere stato controllato dal Marocco già nel 2019 assieme alle utenze dell’allora priemier Philippe e di 14 ministri del suo governo

di Luca Veronese

Scandalo Pegasus, giornalisti e politici spiati anche in Ungheria

4' di lettura

Il telefono del presidente francese Emmanuel Macron potrebbe essere stato controllato dallo spionaggio del Marocco attraverso il programma tecnologico Pegasus. Lo riporta il quotidiano Le Monde spiegando che nel 2019 anche l’allora primo ministro francese Edouard Philippe e 14 ministri del suo governo sarebbero stati presi di mira. Sono le ultime rivelazioni emerse dall’indagine realizzata dall’organizzazione non profit parigina Forbidden Stories assieme ad Amnesty International: lo spyware Pegasus, prodotto dalla società israeliana Nso per le forze di intelligence, potrebbe essere stato utilizzato da governi repressivi per spiare centinaia di giornalisti, attivisti per i diritti umani e dissidenti politici, oltre che manager e ed esponenti politici in tutto il mondo.

L’attacco al telefono di Macron

«Se i fatti dovessero essere confermati, sarebbe ovviamente gravissimo. Sarà fatta piena luce su queste rivelazioni di stampa», ha dichiarato l’Eliseo mentre in Francia la magistratura è già al lavoro per fare chiarezza. «Il numero di Macron e dei ministri francesi erano sulla lista dei numeri selezionati da un servizio di sicurezza statale marocchino, utilizzatore dello spyware Pegasus, per un potenziale hacking», ha spiegato Laurent Richard, direttore di Forbidden Stories. «Abbiamo trovato questi numeri di telefono - ha aggiunto Richard - ma, ovviamente, non abbiamo potuto fare un’indagine tecnica sul telefono di Macron» per verificare se sia stato infettato dal software e quindi «questo non ci dice se il presidente è stato davvero spiato, ma è certo che c’era un interesse a farlo».

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L’allarme della Commissione europea

La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen si era espressa con fermezza sulla vicenda che coinvolgerebbe alcuni governi europei, tra i quali quello dell’Ungheria. «Utilizzare programmi di spionaggio per controllare i giornalisti è totalmente inaccettabile. Quello che stiamo leggendo è contrario a qualsiasi tipo di regola che abbiamo nell’Unione europea», aveva detto Ursula von der Leyen, commentando le indiscrezioni sul coinvolgimento di alcuni governi sul monitoraaggio delle attività di giornalisti e oppositori. «Tutto deve essere verificato con attenzione ma lo spionaggio contro i media è del tutto inaccettabile: la libertà di stampa - aveva aggiunto - è uno dei valori fondamentali dell’Unione».

Il commissario europeo alla Giustizia, Didier Reynders ha spiegato che la Commissione si sta muovendo: «Stiamo iniziando a raccogliere informazioni - ha detto - per capire quale sia il possibile utilizzo dell’applicazione. Ma useremo più fonti, da quelle giudiziarie alle autorità sulla protezione dei dati, per verificare la solidità dell’informazione. Se vera, sarebbe inaccettabile».

«Nel caso dovessimo riscontrare che non possiamo affrontare la questione dello spionaggio dei giornalisti col software Pegasus, a livello europeo, perché si tratta di una questione di sicurezza nazionale, per quanto inaccettabile, affronteremo questa questione nella nostra raccomandazione» sulla libertà di stampa, ha aggiunto la vicepresidente della Commissione europea, Vera Jurova.

L’indagine per svelare lo spionaggio di Pegasus

L’organizzazione non profit Forbidden Stories è riuscita a ottenere i dati su oltre 50mila numeri di cellulare, li ha analizzati con l’aiuto degli esperti del CitizenLab dell’Università di Toronto. E li ha poi condivisi con 17 grandi gruppi di media internazionali, arrivando così a provare che più di mille persone in almeno 50 Paesi sono state selezionate per essere sorvegliate: tra queste - secondo il Washington Post, giornale coinvolto nell’operazione - ci sarebbero più di 600 politici e funzionari governativi, diversi capi di Stato, almeno 65 dirigenti d’azienda, 85 attivisti per i diritti umani, e almeno 189 giornalisti di Associated Press, Reuters, Cnn, al-Jazeera, New York Times, Wall Street Journal, Le Monde, Financial Times e altre importanti testate.

Dalle ultime rivelazioni emerge come tra i possibili obiettivi dei pirati informatici ci sono almeno tre presidenti e tre capi di governo attualmente in carica, sette ex premier e il sovrano del Marocco. Oltre a Macron, la lista comprende l’ex premier belga Charles Michel, attuale presidente del Consiglio europeo; il presidente dell’Iraq Barham Salih; il presidente del Sud Africa Cyril Ramaphosa; il primo ministro del Pakistan Imran Khan; quello dell’Egitto Mostafa Madbouly e quello del Marocco Saad-Eddine El Othmani. Presenti poi alcuni ex primi ministri, tra cui quello del Libano Saad Hariri e quello dell’Uganda Ruhakana Rugunda. A completare l’elenco anche il re del Marocco Mohammed VI, l’ex presidente del Messico Felipe Calderon e il diplomatico statunitense Robert Malley, ex capo negoziatore al tavolo dell’accordo sul nucleare dell’Iran del luglio del 2005.
Negli elenchi si trovano anche i familiari di Jamal Kashoggi, il giornalista saudita assassinato a Istanbul dai sicari di Riad nel 2018; e Cecilio Pineda Birto, giornalista messicano ucciso nel 2017.

Il coinvolgimento dei governi

La società Nso ha ribadito, affiancata dal governo israeliano, di vendere solo ad «agenzie governative controllate» negando di avere accesso ai dati dei suoi clienti. Tra questi clienti ci sarebbero 11 Stati: Arabia Saudita, Azerbaigian, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, India, Kazakistan, Marocco, Messico, Ruanda, Togo e Ungheria.

Secondo il sito di inchieste magiaro Direkt36, che ha partecipato all’analisi dei dati, in Ungheria sarebbero stati spiati più di 300 giornalisti, avvocati, manager e oppositori del premier Viktor Orban. Il governo di Budapest ha tuttavia negato ogni coinvolgimento.

«Lo spyware della Nso è un’arma a disposizione dei governi repressivi che vogliono ridurre al silenzio i giornalisti, attaccare gli attivisti e stroncare il dissenso, mettendo a rischio innumerevoli vite umane», ha detto il segretario generale di Amnesty, Agnes Callamard, denunciando «la totale mancanza di regole nell’industria della sorveglianza tecnologica».

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