Pellicce, una nuova certificazione promuove l’uso di quelle “vintage”
Mentre in Europa aumentano i Paesi dove gli allevamenti sono vietati, e la Cina resta primo produttore mondiale, l’industria punta sulla tracciabilità e la valorizzazione dei capi esistenti
di Chiara Beghelli
4' di lettura
Il calo dei consumi, le battaglie delle associazioni animaliste, la sequela di marchi che uno dopo l’altro annunciano che non ne faranno più uso: negli ultimi anni la produzione di pellicce di origine animale ha fronteggiato colpi molto duri, soprattutto in Europa, dove alla lista dei Paesi che hanno messo al bando gli allevamenti si è unita dal 1 gennaio 2022 anche l’Italia.
Tuttavia, l’International Fur Federation - associazione nata nel 1949, unica organizzazione a rappresentare l’industria internazionale della pellicceria e a regolarne le pratiche e il commercio, con 56 membri attivi in 40 Paesi - prova a reagire puntando su argomenti come la maggiore sostenibilità delle pellicce naturali, rispetto a quelle sintetiche, e sulla tracciabilità della filiera produttiva europea e nordamericana rispetto alla asiatica. I componenti di ogni segmento della filiera produttiva aderenti a Iff devono firmare un rigido codice di condotta che li impegna a seguire le leggi specifiche in cui rientrano i loro settori nei Paesi d’origine.
Oggi il primo produttore di pellicce animali resta saldamente la Cina, dove il sistema di allevamenti fa capo al governo, e in particolare al ministero delle Foreste, che ha emesso delle linee guida già nel 2005, rinnovandole nel 2016 sotto il titolo di “Criteri per l’allevamento e l’utilizzo di visoni, volpi e procioni”.
La questione della effettiva sostenibilità delle pellicce è dunque molto complessa. Da parte sua, per promuovere ai consumatori finali un nuovo approccio, certamente più consapevole, l’Iff ha appena lanciato una nuova certificazione, dedicata alle pellicce vintage e pre-loved: si chiama Furcycle e arriva a esattamente un anno dopo il lancio di Furmark, il sistema di certificazione sui nuovi prodotti in pelliccia naturale. Iff ha colto in questo caso il successo del mercato second hand (che secondo Bcg vale ora 120 miliardi di dollari e crescerà del 20-30% entro i prossimi tre anni), invitando chi possiede una pelliccia, magari ereditata dai tempi in cui erano un capo molto più desiderato e diffuso, a darle una nuova vita. Furcycle sarà un’etichetta, applicata ad articoli in pelliccia vintage, cioè con una storia pari o superiore ai 20 anni, e a quelli pelliccia “di seconda mano” (vale a dire con almeno tre anni), dopo un processo di ispezione da parte di un maestro pellicciaio professionista certificato, per garantire standard di qualità e autenticità.
L’etichetta, caricata sulla piattaforma Trace Now, fornisce informazioni sul tipo di pelliccia utilizzata, la sua origine, il produttore, il luogo e una stima dell’anno in cui è stata prodotta. Se uno dei prodotti etichettati Furcycle viene in seguito riparato, pulito o rimesso a modello, l’azione deve essere inserita su un registro di manutenzione digitale, per permettere ai consumatori di conoscere l’origine, la storia e le lavorazioni effettuate sul loro capo.
Secondo Iff, il valore globale della produzione di pellicce ammonta a 17 miliardi di dollari, con i Paesi asiatici che ne sono i maggiori consumatori. La Cina, come anticipato, è oggi il primo produttore di pellicce del pianeta, seguito dall’Europa, con in testa Finlandia e Polonia, dove però la produzione è in declino almeno da 10 anni. L’Italia ha messo al bando gli allevamenti di animali da pelliccia a partire dal 1 gennaio 2022, ma i produttori possono lavorare pellicce provenienti da allevamenti all’estero. In Europa sono al momento 19 i Paesi che hanno adottato la medesima strategia, di cui 14 membri dell’Unione, vale a dire -oltre all’Italia - Austria, Belgio, Bosnia e Erzegovina, Croazia, Repubblica Ceca, Estonia, Francia, Irlanda, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Olanda, Macedoania del Nord, Serbia Slovacchia, Slovenia e Regno Unito. Romania, Lituania e Polonia stanno valutando di unirsi; la Norvegia si unirà nel 2025, mentre Svizzera e Germania non hanno ancora preso questa decisione, come la Svezia. La Danimarca ha fatto un passo indietro, ripristinando gli allevamenti di visoni ma mantenendo il divieto per quelli di volpe e di aprirne di nuovi di procioni.
In ottobre la Fur Free Europe European Citizens’ Initiative ha presentato al Parlamento Europeo oltre 1 milione e mezzo di firme raccolte nei 18 stati membri della Ue per chiedere non solo l’abolizione degli allevamenti, ma anche la vendita di pellicce in tutta l’Unione. In questo modo, verrebbero coinvolti anche Paesi come la Spagna, il Portogallo e la Germania, dove ora il divieto non è in atto.
La vendita, però, non è stata bandita, come invece in Israele, a partire dal 2021, e in alcuni stati americani come California e Connecticut. Dal marzo 2021 la città di New York ha proibito «la produzione, vendita, messa in mostra ai fini di vendita, donazioni e altri modi di distribuzione di prodotti in pelliccia».
Per quanto riguarda la lista di marchi “fur free”, fra le più recenti adesioni c’è quella di Herno, che ha eliminato la pelliccia a partire dalla collezione AI 23-24, preceduta nel 2022 da quelle di Zegna e Dolce&Gabbana. Anche Moncler e i marchi del gruppo Aeffe diranno addio alle pellicce a partire dalla collezione PE 2024.
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