Pence in campo contro Trump per la nomination repubblicana alla Casa Bianca
L’ex vicepresidente amplia la pattuglia delle alternative all’ex Presidente per l’elettorato conservatore, ma parte in grave ritardo nei sondaggi
di Marco Valsania
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La gara per la nomination repubblicana alle presidenziali del 2024 si fa sempre più affollata. L'ex vicepresidente di Donald Trump, Mike Pence, è sceso ufficialmente in campo, presentando la documentazione per la corsa elettorale. E lanciando un aperto guanto di sfida al suo ex “boss”, al quale conta di strappare anzitutto il sostegno dell'elettorato conservatore più religioso.
Ai blocchi di partenza la corsa di Pence appare tutta in salita, frenata da sondaggi che lo vedono rastrellare non più di una manciata di punti percentuali di consenso tra la base del partito. Al momento, per cercare di strappare la nomination a Trump, sono oltretutto già scesi in pista numerosi candidati, a cominciare dal governatore della Florida Ron DeSantis. Considerato tuttora il rivale più agguerrito, DeSantis ha però di recente perso terreno, vittima di passi falsi e scarsa brillantezza, con Trump che lo doppia nelle preferenze e che ha semmai aumentato il suo vantaggio. Un difficile debutto che lascia in palio il mantello del candidato anti-Trump nel partito.
In corsa sono anche il senatore Tim Scott, tra i pochi leader afroamericani repubblicani, e l'ex ambasciatore all'Onu Nikki Haley. Nelle prossime ore e giorni sono attesi ulteriori ingressi, quali quello dell'ex governatore del New Jersey e grande critico di Trump Chris Christie e del governatore del North Dakota Doug Burgum.
Non mancano volti meno noti: il governatore dell'Arkansas Asa Hutchinson, l'uomo d'affari del Texas Ryan Binkley, la celebrità radiofonica Larry Elder, l'imprenditore del Michigan Perry Johnson, l'investitore Vivek Ramaswamy. E si contano aspiranti potenziali e ancora reticenti: tra questi il governatore della Virginia Glenn Youngkin, considerato da alcuni ai vertici del partito alla stregua di un asso nella manica per un ingresso tardivo qualora DeSantis implodesse e nessun altro emergesse come netto favorito in alternativa a Trump per la nomination.
Al momento, nonostante inchieste e guai giudiziari, è l'ex Presidente a rimanere in netto vantaggio tra la base del partito, sulla quale mantiene una forte presa. Se manca ancora quasi un anno e mezzo alle elezioni vere e proprie, il conto alla rovescia verso le primarie o caucus (assemblee) statali di partito è già cominciato: tutti i candidati stanno facendo tappa in Iowa, la prima delle contese repubblicane agli inizi dell'anno prossimo e test della loro forza. La Convention del partito avrà poi luogo nell'estate del 2024 a Milwaukee.
Per avere chance, Pence dovrà sopravvivere ai primi appuntamenti con i voti degli elettori di partito, ritagliandosi l'immagine di anti-Trump con potere d' attrazione per i conservatori più tradizionali. L’Iowa sarà un terreno di battaglia particolarmente rappresentativo. Altrimenti lo spettro è quello dell'irrilevanza, o meglio di diventare poco più di una curiosità: il primo caso nella storia americana di un ex vicepresidente e di un ex presidente che duellano per la nomination del partito.
Pence, ex governatore dell'Indiana, potrebbe vantare credibilità tra l'elettorato evangelico, per la sua storica opposizione al diritto d'aborto e la difesa dei più tradizionali valori conservatori. Da vicepresidente è stato un fedele difensore di Trump, ma la relazione si è incrinata al cospetto della sconfitta elettorale per mano del democratico Joe Biden nelle elezioni per la Casa Bianca a fine 2020. Trump ha premuto su Pence perché cooperasse con i suoi sforzi di ribaltare l'esito legittimo delle urne, cioè perchè rifiutasse di certificare il voto come è invece consuetudine cerimoniale da parte dei vicepresidenti in carica. Pence ha rifiutato.
Durante l'assalto al Congresso dei sostenitori di Trump il 6 gennaio 2021, la rottura è degenerata: tra gli slogan dei manifestanti violenti sono affiorati inni ad una impiccagione di Pence. Pence anche successivamente è rimasto a lungo prudente nel criticare pubblicamente l’ex Presidente. In marzo ha tuttavia denunciato la “le irresponsabili parole” di Trump durante le violenze del 6 gennaio e dichiarato che “la storia riterrà Donald Trump responsabile”.
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