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Pensa prima di comprare: l’onda dei de-influencer (che però restano influencer)

Gli influencer vogliono indicarci cosa comprare. Ora si sta diffondendo il richiamo se quello che ci viene indotto vale davvero la pena

di Pierangelo Soldavini

Reuters

2' di lettura

All’inizio c’erano le celebrities a supportare i brand in rete con un meccanismo simile a quello della pubblicità classica. Ma la conversione in vendite non era per nulla garantita. Poi è arrivata l’ondata di quei piccoli o grandi imprenditori, spesso molto giovani, che diventano testimonial viventi di buone pratiche, soprattutto per quanto riguarda cosmetica, benessere e lifestyle.

Gli influencer, insomma, con audience più o meno ampie. Ma che alla fine si trasformano in promotori di prodotti e servizi specifici, che loro hanno provato direttamente. O, almeno, così dicono. TikTok e Instagram sono flussi infiniti di immagini e video di ogni genere in cui ciascuno può trovare il consiglio per la propria esigenza del momento, da esperti che finiscono per fare leva sull’emotività e l’istinto con un metodo basato sul coinvolgimento.

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Sfruttando questi elementi, l’influencer finisce non solo a soddisfare i bisogni di “consulenza”, ma anche per indurre bisogni nuovi sulla base proprio del coinvolgimento emotivo e della reazione istantanea. E delle esigenze commerciali dei brand. Un meccanismo peraltro non garantito dalla certezza di reale imparzialità di chi consiglia i prodotti. Più di un influencer è stato colto ultimamente in fallo, a fare il furbetto in una terra ibrida tra comunicazione e pubblicità.

Se gli influencer vogliono indicarci cosa comprare, ora si sta diffondendo un rigurgito di consapevolezza che vuole indicare cosa non comprare. O, meglio, se quello che ci viene indotto è qualcosa che davvero vale la pena e di cui abbiamo bisogno. Non che sia un trend nuovissimo, c’era già stata qualche avvisaglia, ma in questo primo scorcio di anno il de-influencing è diventato un’onda montante di reazione agli eccessi consumistici fini a loro stessi.

L’hashtag relativo ha superato i 68 milioni di views su TikTok. Così, mentre più dei due terzi di agenzie di marketing, brand e influencer punta ad aumentare la produzione di contenuti, allo stesso tempo il 63% si interroga sugli effetti della crisi. Ed è proprio questa la leva sfruttata dai de-influencer per indurre una maggiore attenzione alla sostenibilità economica dei consumi, oltre a quella ambientale. Il sospetto concreto è che chi mette in guardia dal non comprare voglia sfruttare lo stesso meccanismo per soddisfare la propria voglia di emergere, avere un pubblico (ed essere remunerato).

Ma forse il fenomeno può avere anche un altro valore che trascende i confini del marketing. Nel mondo di internet, dove ognuno è esposto a stimoli continui, a una conoscenza senza fine e a un’offerta sconfinata di prodotti e notizie, la necessità di un intermediario critico, rigoroso, imparziale e non condizionato da esigenze commerciali è indispensabile, molto più di prima. E allora vai con il de-influencing. Ma che sia genuino. E non solo per i prodotti.

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