Pensioni anticipate, Ape e Tfr: tutte le opzioni sul tavolo per il dopo Quota 100
Il confronto tra governo e sindacati in vista della prossima manovra sulle pensioni riparte dai lavori gravosi e usuranti. Tra le ipotesi sul tavolo una pensione di garanzia per i giovani e una nuova edizione della “pace contributiva”. I nodi dei tempi e dei costi
di Marco Rogari
I punti chiave
5' di lettura
Dalle forme di flessibilità pensionistica in uscita per il “dopo Quota” fino alla proroga dell'Ape sociale, alla pensione di garanzia per i giovani e agli incentivi per rilanciare la previdenza complementare. E nutrito il menù di opzioni e possibili misure, compresa una nuova edizione della cosiddetta “pace contributiva”, che è al centro del tavolo sulla previdenza. Con un orizzonte già ben visibile: quello della legge di bilancio da varare a ottobre.
Anche perché alcuni interventi non potranno comunque essere rimandati per troppo tempo visto che a fine anno si conclude la sperimentazione triennale dei pensionamenti anticipati con almeno 62 anni d'età e 38 di contribuzione, introdotta dall'esecutivo “Conte 1”. In caso contrario il ritorno integrale alla legge Fornero sarà automatico. Con il trascorrere delle settimane diventa più intenso il pressing dei sindacati e di una parte della maggioranza per garantire dal 2022 la possibilità di uscita con 41 anni di contributi o, comunque, con 62-63 anni d'età. Ma il ministero dell'Economia non appare disposto a far passare interventi troppo costosi, anche per evitare contrasti con Bruxelles, che vigila con attenzione sul capitolo previdenza. Meno in salita appare invece la strada per il rafforzamento delle tutele previdenziali dei lavoratori impegnati in attività gravose e usuranti e per una proroga dell'Ape sociale, in versione potenziata.
Sindacati e Lega spingono Quota 41
La cosiddetta Quota 41 non è altro che la possibilità di uscire dal lavoro al raggiungimento dei 41 anni di contribuzione a prescindere dall'età anagrafica. A spingere già da tempo per questa soluzione è la Lega. Ma anche i sindacati sono favorevoli a questa ipotesi per provare a rendere agibile un'altra via d'uscita oltre a quella proposta con un nuovo meccanismo flessibile per le uscite a partire dai 62 e 63 anni. Secondo i calcoli fatti l'Inps questa misura sarebbe però molto costosa: oltre 4,3 miliardi il primo anno per poi arrivare a superare i 9,2 miliardi alla decima annualità.
L'uscita tutta contributiva con 64 anni d'età
Un'altra opzione sul tavolo è quella modellata sulla falsariga del percorso d'uscita anticipata tracciato dalla stessa riforma Fornero per i soli lavoratori con anzianità esclusivamente contributiva: pensionamento anticipato accessibile a tutti coloro che sono in possesso di 64 anni d'età e 36 di contributi (prevedendo un assegno totalmente “contributivo”) o, in alternativa con 64 anni d'età, 20 di versamenti e un importo minimo del trattamento di almeno 2,8 volte l'assegno sociale (e sempre in completa configurazione contributiva).
L'impatto finanziario di un intervento di questo tipo, stando alle simulazioni dell'Inps, sarebbe di 1,2 miliardi il primo anno con un picco di 4,7 miliardi nel settimo anno. A suggerire di prendere in considerazione la strada dell'uscita con 64 anni era stata nelle scorse settimane pure la Corte dei conti. E questa ipotesi, con qualche piccola differenza, faceva parte anche del pacchetto di opzioni messo a punto dalla Commissione tecnica istituita a suo tempo dall'ex ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, con l'obiettivo di fornire le indicazioni necessarie per riformare il sistema previdenziale.
L'anticipo a 63 anni della sola quota contributiva targato Tridico
Tra le proposte più recenti c'è quella caldeggiata dal presidente dell'Inps, Pasquale Tridico, che prevede un anticipo pensionistico per la sola quota di pensione “contributiva” maturata al raggiungimento dei 63 anni d'età (con almeno 20 anni di versamenti) e un importo minimo dell'assegno pari a 1,2 volte l'assegno sociale. L'eventuale fetta retributiva verrebbe poi corrisposta con l'arrivo alla soglia dei 67 anni d'età. Sempre secondo le stime dell'Inps, questa ipotesi è quella che presenta i costi più bassi perché si partirebbe il primo anno con 443 milioni per arrivare a poco più di 2 miliardi nel decimo anno.
Corsia preferenziale per le mansioni faticose con ulteriore sconto
Come è noto, il ministero dell'Economia non sembra troppo affascinato dall'idea di aprire la strada a interventi troppo costosi, anche perché quello della previdenza resta un capitolo su cui vigila con attenzione la commissione Ue. Tra i tecnici di via XX Settembre viene considerata una strada abbastanza indolore quella che contempla una proroga dell'Ape sociale, magari in versione rafforzata, e un'estensione della platea dei lavoratori impegnati in attività gravose e usuranti (e forse anche i cosiddetti “fragili”) per i quali è già previsto un canale d'uscita in qualche modo agevolato. Questo “dispositivo” potrebbe anche essere potenziato con un ulteriore sconto di un anno ogni dieci anni lavoratori o agendo sui coefficienti di trasformazione (che contribuiscono al calcolo dell'assegno). I costi di un intervento di questo tipo sommati a quelli di un prolungamento dell'Ape sociale potrebbero oscillare, a seconda della fisionomia definitiva delle misure da adottate, dai 400 agli 800 milioni l'anno.
Proroga Ape sociale
Viene ormai considerato molto probabile il prolungamento di almeno un anno dell'Ape sociale, l'Anticipo pensionistico al quale possono accedere (con almeno 63 anni) alcune categorie di lavoratori in difficoltà, come ad esempio i disoccupati di lungo corso o i disabili (e i caregiver che li assistono). Il raggio d'azione di questo strumento, che è stato prolungato per tutto il 2021 dall'ultima legge di bilancio, potrebbe essere ampliato.
Opzione donna in via strutturale
Sempre per effetto dell'ultima legge di bilancio, targata “Conte 2”, le lavoratrici hanno ancora per tre anni la possibilità di uscire con 58 anni d'età (59 se “autonome”) e 35 di contribuzione, ma con il calcolo interamente contributivo dell'assegno. Una delle ipotesi sul tappeto è quella di dare a questo intervento una fisionomia quasi strutturale.
Pensione di garanzia ai giovani
Un altro dei temi su cui si svilupperà il confronto tra governo e sindacati è quello della tutela previdenziale dei giovani che, con le mutazioni del mercato del lavoro, presentano carriere discontinue, oltre ad essere totalmente “contributivi”. Anche su questo fronte nei mesi scorsi sono state ventilate diverse ipotesi: da una sorta di trasformazione, in forma riveduta, della pensione di cittadinanza in assegno garanzia all'individuazione di un minimo pensionistico garantito accompagnato da appositi meccanismi di “cumulabilità”.
Rilancio dei fondi pensione con incentivi e “silenzio-assenso”
Il rilancio della previdenza complementare è tra le priorità sostanzialmente condivise, anche se sugli accorgimenti da adottare variano le scuole di pensiero. Una delle ipotesi ricorrenti è quella di rendere fiscalmente più appetibile l'accesso sui fondi pensione agendo sull'aliquota e prevendo specifiche agevolazione. E un pacchetto di misure in questa direzione potrebbe anche entrare nella prossima manovra. I sindacati avevano anche proposto una nuova fase di “silenzio-assenso” per favorire la destinazione del Tfr alla previdenza integrativa.
Ipotesi nuova “pace contributiva”
Tra le ipotesi allo studio in vista della prossima legge di bilancio c'è una nuova edizione della cosiddetta “pace contributiva” (cara alla Lega), che era stata introdotta dal governo “Conte 1”. Una misura che consente ai lavoratori in attività per la prima volta dal 1996 di colmare i vuoti nei versamenti contributivi. La possibilità di riscatto dovrebbe essere al massimo di cinque anni, anche non consecutivi.
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