Pensioni: in attesa di nuova Quota 103, ecco le soglie d’uscita anticipata
Il confronto tra governo e parti sociali sulla nuova riforma previdenziale sta segnando il passo e sembrano allungarsi i tempi per l'introduzione di Quota 41 per garantire il pensionamento anticipato
di Marco Rogari
I punti chiave
3' di lettura
Il confronto tra governo e parti sociali per superare gradualmente alcuni capitoli della legge Fornero segna il passo.
E con il trascorrere delle settimane cominciano a moltiplicarsi gli interrogativi sul “dopo Quota 103”: la via d'uscita anticipata introdotta dal governo Meloni con l'ultima legge di bilancio che fino al 31 dicembre 2023 consente il pensionamento con 62 anni d'età e 41 anni di contribuzione.
Anche perché sembrano allungarsi i tempi per arrivare a Quota 41, considerata da molti nel centrodestra, a partire dalla Lega, il punto di approdo di una possibile riforma della previdenza.
Tra le ipotesi che cominciano a circolare c'è quella di una proroga annuale della stessa Quota 103. Ma a prescindere dalla decisione che sarà adottata probabilmente con la prossima manovra autunnale, anche per il prossimo anno il governo è in ogni caso intenzionato a garantire un canale per accedere alla pensione prima della soglia di vecchiaia, in aggiunta a Ape sociale, Opzione donna e alle altre “vie” già collegate alla “Fornero”.
Come è noto, dall'ultimo monitoraggio condotto dall'Inps sui flussi di pensionamento è arrivata la conferma come più di 3 trattamenti su 10 sono erogati con la fisionomia di assegni anticipati o prepensionamenti.
E l'età media dei titolari di queste pensioni è di 61,1 anni per gli iscritti al Fondo lavoratori dipendenti dell'ente previdenziale, di 61 anni per coltivatori diretti, mezzadri e coloni per poi salire leggermente a 61, 4 anni nel caso degli artigiani, 62,1 anni in quello dei commercianti e a 62,4 per i dipendenti pubblici.
Il destino di Quota 103
Quota 103, che dal 1° gennaio ha preso il posto di Quota 102 (uscita con almeno 64 anni d'età e 38 di versamenti), si esaurirà il 31 dicembre 2023. Il governo punta a superare gradualmente la legge Fornero per consentire l'uscita con 41 anni di contributi a prescindere dell'età anagrafica (Quota 41), ma questo obiettivo non potrà sicuramente essere centrato il prossimo anno.
Per il 2024 dovrebbe quindi essere individuata un'altra misura-ponte per consentire l'uscita anticipata. E non è da escludere del tutto che un prolungamento di Quota 103 possa far parte delle opzioni da valutare nei prossimi mesi.
Quasi il 31% delle pensioni erogate dall'Inps nel 2022 è riconducibile a trattamenti anticipati
Come emerge dall'ultimo monitoraggio sui flussi di pensionamento condotto dall'Inps nei mesi scorsi, dei 779.791 trattamenti erogati con decorrenza 2022 dall'ente previdenziale, guidato da Pasquale Tridico, quasi il 31% è riconducibile a trattamenti anticipati o prepensionamenti. In particolare, di questi assegni 276.468 sono risultati pensioni di vecchiaia, 241.339 trattamenti anticipati, 42.063 pensioni di invalidità e 219.921 “ai superstiti”.
L’età media dell'uscita anticipata oscilla tra i 61 e i 62,4 anni per i vari settori
Dall'ultima rilevazione ufficiale dell'Inps emerge che nel 2022 l'età media delle uscite anticipate degli iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti (la principale “gestione” dell'ente) è stata di 61,1 anni: 60,8 anni per le donne e 61,3 per gli uomini. La soglia anagrafica media è risultata più bassa per la gestione dei coltivatori diretti, coloni e mezzadri (61 anni), ma più alta per quelle degli artigiani (61,4 anni), dei commercianti (62,1 anni) e dei dipendenti pubblici (62,4 anni).
Una gestione, quest'ultima, dove i trattamenti anticipati hanno assorbito il 53% di tutte le pensioni con decorrenza 2022, mentre per i lavoratori dipendenti e gli artigiani si scende al 34%, per i commercianti al 29% e per i coltivatori diretti al 26 per cento.
Ancora 185mila baby pensioni
Queste soglie di pensionamento anticipato restano comunque molto lontane dai requisiti iper-vantaggiosi con cui nei decenni scorsi si poteva accedere alle cosiddette “baby pensioni”: ancora oggi l'Inps è costretto a liquidarne 185mila, stando ai dati contenuti in un recente libro del presidente Tridico (“Il lavoro di oggi la pensione di domani”).
La fetta più consistente di questi assegni è pagata dall'ente a donne (149mila), che mediamente usufruiscono di questo trattamento da 36 anni, mentre per gli uomini la durata media del trattamento è di 35 anni. E il costo annuale sfiora i 3 miliardi.
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