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Pensioni: per sostituire Quota 100 si riparte da Ape sociale

In vista del tavolo Governo-sindacati sulla manovra, la maggioranza guarda all’Anticipo rafforzato e a Opzione donna in forma strutturale

di Marco Rogari

Ammortizzatori e pensioni, si scalda partita lavoro

4' di lettura

Non piace troppo ai sindacati e non convince del tutto la Lega e una parte della maggioranza. Ma il distacco mostrato dal ministero dell'Economia alle costose ipotesi di pensionamenti anticipati con 41 anni di contributi a prescindere dall'età o con una soglia anagrafica minima di 62 o 63 anni la rendono, almeno per ora, l’unica strada realmente percorribile per il dopo Quota 100: una proroga dell’Ape sociale con un bacino più ampio di lavoratori impegnati in attività gravose, accompagnata, se possibile, da una configurazione “strutturale” di Opzione donna e da contratti d’espansione ulteriormente rafforzati.

A essere convinto che la via da seguire per dare alla previdenza il nuovo assetto dal 1° gennaio 2022 sia quella degli strumenti previdenziali già disponibili in versione potenziata è il presidente dell'Inps, Pasquale Tridico.

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Ma anche nella maggioranza, Carroccio compreso, la proroga dell’Anticipo pensionistico che scade a fine anno viene ormai considerata quasi scontata.

E, con tutta probabilità, è proprio da questa misura che ripartirà a settembre il difficile confronto sulla previdenza tra Governo e sindacati in vista delle misure dal inserire nella manovra economica autunnale. Anche se non sarà semplice definire il nuovo perimetro.

Under 63 in situazioni difficili

Attualmente l'Ape sociale in formato prestito ponte, che è stata prolungata a tutto il 2021 dall'ultima legge di Bilancio, è utilizzata dai lavoratori con almeno 63 anni d’età in particolare situazione di difficoltà, come i disoccupati di lungo corso o chi assiste portatori di handicap, a quelli che rientrano in preciso elenco di attività considerate usuranti: dagli operai dell'industria estrattiva e dai conduttori di gru e di convogli ferroviari agli agricoltori e ai facchini.

Lo scorso anno i beneficiari sono risultati meno di 11mila, leggermente in calo rispetto al 2019. L’obiettivo di un’ampia fetta della maggioranza, ma anche degli stessi sindacati, è di estendere il più possibile la platea per trasformare questo strumento in un vero canale d’uscita pensionistica.

Il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, nei mesi scorsi ha istituito un’apposita Commissione tecnica proprio per individuare una nuova lista di lavori gravosi da “agganciare” all’Ape sociale.

A settembre la commissione dovrebbe giungere alle conclusioni. Intanto, ha già fissato tre parametri sulla base dei dati Inail per individuare nuove mansioni faticose o pericolose: frequenza e gravosità degli infortuni; gravosità delle malattie professionali.

LA PLATEA NEGLI ULTIMI DUE ANNI
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Il costo della proroga

Al di là del numero delle categorie da aggiungere alla “lista-Ape” resta da superare il problema dei costi. Cifre non ne sono state ancora fatte, ma in via ufficiosa già circolano alcune stime “minime” che oscillano dai 400 ai 700 milioni per la proroga rafforzata di un anno.

Almeno per i prossimi due anni non sarà indispensabile una proroga di Opzione donna, la possibilità di uscita anticipata con l’assegno interamente contributivo per le lavoratrici con 35 anni di contributi e 58 d’età (59 se autonome).

Ma una parte della maggioranza punta a rendere strutturale questa misura, anche per conferirle maggiore appeal. Nel 2020 sono pervenute all’Inps 19.970 domande per il pensionamento con questo canale di uscita, il 17,6% in meno rispetto al 2019.

Dai dati dell’ultimo Rapporto annuale dell’ente previdenziale guidato da Tridico emerge che lo scorso anno le richieste accolte sono state 14.510, di cui il 16,5% da lavoratrici del settore pubblico, il 21,4% da autonome e il resto liquidato nelle gestioni del settore privato.

Meno di un terzo di chi ha scelto Opzione Donna ha un’età prossima al requisito anagrafico minimo e circa il 70% delle domande proviene dal Nord.

Tra le opzioni su tavolo c’è quella di rendere operativi anche per le imprese più piccole i contratti d’espansione, che, nell’ambito dei processi di riorganizzazione aziendale, consentono di ricorrere al prepensionamento dei lavoratori che si trovino a non più di 60 mesi dal raggiungimento dei requisiti per la pensione di vecchiaia o anticipata, anche tramite l’accesso alla Cig straordinaria per chi non può usufruire dello “scivolo” di cinque anni.

Il decreto Sostegni bis, convertito in legge, ha reso utilizzabile questo strumento per tutte le imprese con almeno 100 dipendenti. A lasciare intendere che sarebbe forse possibile rendere questo intervento ancora più estensivo è stata nei giorni scorsi il sottosegretario leghista al Lavoro, Tiziana Nisini.

In ogni caso Quota 100 dopo tre anni di sperimentazione sarà “pensionata” a fine anno. Nel 2020 sono arrivate all’Inps oltre 130mila domande, circa il 40% in meno rispetto al 2019, e ne state accolte 73.396: il 24% di dipendenti pubblici, il 26% di “autonomi” e il resto di lavoratori privati.

Ma anche i dati del 2021 hanno confermato un appeal più basso di quello che era stato ipotizzato in origine: dalla fotografia scattata a maggio è emerso che quasi il 57% della platea che ha utilizzato la via d’uscita fortemente voluta dall’esecutivo Conte 1 è andato in pensione con un’età anagrafica compresa tra i 63 a i 66 anni, optando così di fatto per Quota 101, 102, 103 e, in misura ridotta, 104.

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