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Pensioni e opzione donna, il governo studia un mix di misure per allentare la stretta

Il governo punta a un restyling di Opzione donna e valuta diverse soluzioni: dall'introduzione di un'indennità-ponte a partire dai 61-62 anni sulla falsariga del «modello Ape sociale» all'eliminazione del cosiddetto «criterio-figli» con uscite a 58 anni per le sole categorie alle quali è attualmente garantito l’accesso a questo canale di pensionamento anticipato. Possibile anche un “mix” delle varie misure sul tavolo

di Marco Rogari

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3' di lettura

È uno dei nodi più complessi da sciogliere in vista della definizione del capitolo pensioni della prossima manovra autunnale, attesa a metà ottobre.

Il restyling di Opzione donna, il canale di uscita anticipata, vincolato al ricalcolo contributivo dell'assegno, previsto solo per alcune categorie di lavoratrici dopo la stretta scattata a inizio 2023, è uno degli obiettivi della maggioranza, ma deve fare i conti con i rigidi paletti fissati dal ministero dell'Economia per una legge di bilancio che si annuncia avara di risorse da mettere in campo.

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Anche per questo motivo con il trascorrere delle settimane si susseguono le ipotesi per rivedere le regole al momento in vigore: dal ricorso a un sussidio sulla falsariga del modello Ape sociale all'eliminazione del cosiddetto «criterio-figli». Una lunga serie di possibili soluzioni che, almeno in parte, al momento della stesura finale della legge di bilancio 2024 potrebbe anche tradursi in un sorta di mix.

L’attuale configurazione di Opzione donna

Il maccanismo introdotto dalla manovra approvata alla fine dello scorso anno dal Parlamento, la prima targata Meloni, consente l'uscita a 60 anni (insieme a 35 anni di versamenti), vincolata al ricalcolo contributivo dell'assegno, con lo sconto di un anno per le donne con un figlio (pensionamento a 59 anni) e di due anni per quelle con più figli (pensionamento a 58 anni) ma limitando l'accesso alla pensione solo ad alcune specifiche categorie di lavoratrici: caregiver; con almeno il 74% di invalidità civile; “licenziate”; dipendenti di aziende in crisi).

Con il risultato di ridurre la platea potenziale nel 2023 a non più di 2.900 lavoratrici, mentre nel 2022, prima di questa stretta, quando il pensionamento era consentito con 58 anni d'età (59 per le “autonome”), le uscite attraverso questo canale pensionistico erano state quasi 24mila.

Al 1° gennaio 2023 oltre 174mila uscite, con una “penalizzazione” media del 39,8% ma in progressiva discesa

L'Inps ha ufficializzato che fino a tutto il 1° gennaio 2023 sono uscite con Opzione donna 174.535 lavoratrici con un assegno medio che è risultato del 39,8% più basso rispetto alla media delle altre pensioni “anticipate” (1.171,19 euro contro 1.946,92 euro).

Ma sempre l'Inps ha fatto notare che questa differenza d'importo «solo in parte» è riconducibile al ricalcolo contributivo dell'assegno, che (prima dell'introduzione degli attuali requisiti) è risultato pari al 14,2% della pensione che sarebbe stata percepita se alla pensionata fosse stato applicato il regime (misto o retributivo) che le competeva». Una penalizzazione oltretutto destinata ad azzerarsi visto che sarebbe già scesa al 23% del 2013 all'8% del 2022.

L’ipotesi «Ape donna» con 61-62 anni d’età

Già dall'inizio dell'estate i tecnici del governo stanno valutando la possibilità di introdurre per le lavoratrici un sussidio sulla falsariga del cosiddetto modello “Ape sociale”: l'Anticipo pensionistico previsto per alcune categorie di lavoratori, a cominciare da quelli in situazione particolarmente “disagiata”. Le donne alle quali è attualmente consentita l'uscita anticipata (caregiver, con almeno il 74% di invalidità civile, licenziate) che abbiano maturato 61-62 anni d'età e 30 anni di contributi (28 per le madri con due figli) avrebbero la possibilità di beneficiare fino al raggiungimento della soglia di vecchiaia di un sussidio non superiore ai 1.500 euro lordi “non rivalutabili” per 12 mensilità e comunque svincolato dal ricalcolo contributivo dell'assegno. Sussidio che sarebbe garantito anche alle lavoratrici impegnate in mansioni gravose (per almeno sei anni negli ultimi sette o sette anni negli ultimi dieci lavorati): in questo caso gli anni di contribuzione necessari (36 come sostanzialmente per l'Ape sociale) scenderebbero a 34 in presenza di due figli. Si tratterebbe quindi di una misura di accompagnamento alla pensione di vecchiaia(una sorta di indennità), ma non condizionata dal ricalcolo contributivo del trattamento.

La soluzione con l'uscita a 58 anni senza «criterio figli»

Tra le varie proposte sul tavolo per allentare la stretta su Opzione donna c'è quella sostenuta da una fetta della maggioranza che prevede l'eliminazione del cosiddetto “paletto-figli” ma lasciando l'accesso consentito alle categorie di lavoratrici per le quali è attualmente utilizzabile questa uscita anticipata (caregiver, con almeno il 74% di invalidità civile, licenziate o dipendenti da aziende in crisi). In altre parole, verrebbe cancellato il requisito dei 60 anni e sarebbero eliminati anche gli “sconti” di un anno con un figlio e di due anni con più figli. Per queste categorie, pertanto, la soglia anagrafica tornerebbe a 58 anni come nel 2022.

Il possibile mix

La scelta finale dipenderà in gran parte dalle risorse che risulteranno effettivamente disponibili al momento della presentazione della Nota di aggiornamento al Def (Nadef), prevista per il 27 settembre. Se gli spazi di finanza pubblica lo dovessero consentire, non è del tutto escluso un mix tra le due possibili misure: una consentirebbe l'uscita, seppure a poche categorie di lavoratrici, prima dei 60 anni ma con il ricalcolo contributivo dell'assegno, che verrebbe evitato con l'altra possibilità optando per l'indennità da 61-62 anni in attesa di beneficiare della pensione di vecchiaia.


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