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Per avere il figlio più a lungo in estate non bastano case ovunque serve tempo da dedicargli

Al padre amministratore delegato con un reddito mensile di circa100mila euro non è sufficiente ricordare ai giudici che ha case in montagna e al mare se non riesce ad essere presente fisicamente

di Patrizia Maciocchi

(Andrii IURLOV - stock.adobe.com)

2' di lettura

Avere molti soldi e belle case al mare e in montagna non basta al padre, amministratore delegato, per ottenere dai giudici un periodo più lungo per trascorrere le vacanze estive con il figlio, se per i tanti impegni non può garantire la sua presenza. La Cassazione respinge così il ricorso di un manager al vertici di una grande azienda, con circa 100mila euro al mese di reddito, che chiedeva, in nome dell’affidamento condiviso, di avere più delle tre settimane che il Tribunale gli aveva concesso per vacanze estive con il figlio. Sul piatto metteva una casa al mare e una in montagna dove, quando il matrimonio con la ex moglie era ancora in piedi, il minore trascorreva lunghi periodi.

L’impossibilità di garantire la presenza

Un argomento che però non serve a fronte del fatto che non era riuscito a smentire la madre del giovane, secondo la quale i suoi molti impegni non gli avrebbero consentito di trascorrere fisicamente con il figlio il tempo che chiedeva in più. Il ricorrente si era, infatti, limitato a sottolineare la palese iniquità della decisione «che avrebbe valorizzato lo stato di disoccupazione della madre e penalizzato il padre solo perché professionalmente impegnato».

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No anche alla riduzione dell’assegno

Per la Suprema corte però la decisione della Corte d’Appello di non concedere più tempo a chi, in fondo, tempo non ne aveva, era corretta «in assenza di un impegno, da parte del genitore appellante e professionalmente molto impegnato, a trascorrere personalmente con lo stesso il maggior periodo richiesto». I giudici di legittimità respingono anche la richiesta di versare un assegno più basso dei 5mila euro, stabiliti in base al tenore di vita goduto dal ragazzo durante il matrimonio. E anche questa scelta è avallata dalla Cassazione, in virtù dei ruoli di prestigio e molto remunerativi ricoperti dal padre messi a confronto con lo stato di disoccupazione della madre. Che però passava con il figlio il 70% del suo tempo, avendo perso il lavoro.

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